“Così si è trasformato l’andare dei miei giorni”, sono le parole che, nel prologo, dice Marcello, uno dei protagonisti del nuovo romanzo di Delia Morea, scrittrice e giornalista napoletana. Romanzo in bianco e nero nasce dall’amore per il cinema, non a caso è dedicato a Vittorio De Sica.

Il “bianco e nero” è quello del cinema, e la trasformazione dei giorni di cui parla Marcello è dal bianco e nero al colore, e poi di nuovo al bianco e nero. Il cinema è presente nella vita dei protagonisti del romanzo, moltissimi sono i riferimenti alla storia del cinema, e molte le citazioni. E’ un romanzo scritto come una sceneggiatura cinematografica, tutto al tempo presente. Infine, all’inizio di ogni capitolo ti aspetti di leggere “studio di Marcello interno giorno”, oppure “piazzetta romana esterno notte” e questo perché ogni capitolo è una scena, un episodio che si svolge in una unità di tempo e di spazio.

La trama di Romanzo in bianco e nero si svolge in un arco temporale lungo, 37 anni, dal 1938 al 1975. Più che un romanzo storico, però, è un andirivieni nella storia e nella vita dei personaggi: ogni scena/capitolo ha per titolo solo l’indicazione dell’anno in cui si svolge, “1938” il primo, “1975” l’ultimo. I capitoli/scene/anni si alternano: nel primo capitolo troviamo Marcello, Carlo e Rachele, giovani, in una Roma sfolgorante, alla vigilia della tragedia delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei (Rachele è ebrea); il secondo capitolo si intitola “1971”, e ritroviamo Marcello, 33 anni dopo, in un’aula universitaria, dove incontra per la prima volta il quarto personaggio chiave, la giovane Janine Rachele, e siamo nell’Italia della Contestazione. E’ così fino alla fine del romanzo, gli anni si alternano, e la Storia è sempre presente, anzi, incombente, sulle vite dei protagonisti. Tuttavia, la trama resta unitaria, e solo alla fine del libro, che non racconterò, nell’ultimo capitolo, si scioglie l’enigma, e tutto l’accaduto ritrova una spiegazione.

Quella descritta è l’architettura del Romanzo in bianco e nero. Se nel cinema spesso i tempi sono sfalsati, gli svolgimenti non lineari, e ricorrono salti temporali e universi paralleli, nei libri questo accade più raramente. Il romanzo di Delia Morea ha invece il pregio di essere, nella sua architettura, originale, inedito, inaspettato. La scrittura procede seguendo i personaggi, le amicizie, gli amori, l’impegno civile, la tragedia della guerra e le delusioni personali, i distacchi, gli abbandoni e le scomparse. E’ un affresco dell’Italia tra fascismo, guerra, dopoguerra fino alla metà degli anni Settanta. Un affresco, ma perché in bianco e nero?

Nel colore, si tratti di un quadro, di una foto, di un film, si trascorre dall’uno all’altro colore e, anche se non sempre c’è armonia, sempre c’è compresenza, insieme di possibilità diverse, come nella vita reale che è, appunto, normalmente a colori: confusa a volte, spesso grigia, ma il grigio è comunque una mescolanza di bianco e nero. Invece, il “bianco e nero” è contrasto, è sempre non-mescolanza. Come nell’antica filosofia cinese, dove Yin, la terra, è il nero e Yang, il cielo, è il bianco. L’immagine che rappresenta Yin e Yang, “T’ai Chi T’u”, è un cerchio nel quale il bianco e il nero sono nettamente separati, anche se compresenti: non si mescolano, restano distinti e irriducibili l’uno all’altro, anche se complementari.

Il bianco e il nero del romanzo di Delia Morea sono dunque “contrasto”. E Marcello, ormai anziano, riassume il corso della propria vita e di quella di chi l’ha accompagnato, come un film che inizia in bianco e nero, si trasforma in un film a colori, e ritorna in bianco e nero. Il contrasto ritorna, ed è il contrasto tra elementi irriducibili: la Storia e le storie, la vita individuale e la vita collettiva, il maschile e il femminile, il bene e il male, la realtà e l’illusione, la giovinezza e la vecchiaia. Quest’ultima polarità ricorre continuamente nelle pagine del romanzo, tanto da far pensare che sia il tema principale del romanzo, il suo leitmotiv. E’ vero che la giovinezza trascorre nella vecchiaia e che, interiormente, quasi non ci si accorge del tempo che passa. E’ quando la vecchiaia si staglia in tutta la sua irriducibile differenza rispetto alla giovinezza, che il film della vita torna ad essere “in bianco e nero”, come dice Marcello, nell’epilogo del romanzo: “Questi sono i fondamenti, i pilastri della mia vita, il rovescio della morte, o viceversa. Sorrido, continuo a distendermi con pigrizia. Lontano scorgo la linea dell’orizzonte: è l’alba, ancora un nuovo giorno inizia.”

Delia Morea, Romanzo in bianco e nero, Avagliano Editore, 2019, pp. 270

Delia Morea è giornalista, scrittrice e drammaturga. Nel 2002 vince la seconda edizione del premio letterario Anna Maria Ortese, nel 2004 è finalista del premio teatrale Napoli Drammaturgia Festival. Tra i volumi pubblicati: Lazzari e Scugnizzi, Briganti Napolitani, Vittorio De Sica, l’uomo, l’attore il regista (Newton Compton), Storie Pubbliche e private delle famiglie teatrali napoletane (XPress/Torre), la raccolta di testi teatrali La Voce delle mani (ilmondodisuk edizioni) con la prefazione di Enzo Moscato. Con Avagliano ha pubblicato altri due romanzi Quelli che c’erano (2007), Una terra imperfetta (2013).