Si svolge in questi giorni a Napoli, presso l’Istituto Italiano degli Studi filosofici, organizzato dalla professoressa Stefania Tarantino, docente all’Università di Salerno, il convegno sulla filosofa ebrea di origine francese Sarah Kofman.

Studiosa e intellettuale polivalente e feconda, Kofman è ancora poco conosciuta in Italia, ma questo nulla toglie alla rilevanza del suo pensiero, anzi ne rafforzano il valore proprio questo crescente interesse e questo fervore di ricerca intorno alla sua figura e alla sua opera, che contengono una miriade davvero sconfinata di suggestioni, motivi, invenzioni, profondità speculative di notevole originalità. Per questo il luogo scelto dall’organizzatrice per l’incontro, che si svolge in modalità mista, in presenza e online, è molto significativo, in quanto è anche dall’Istituto napoletano che sono passati pressocché tutti i grandi filosofi del nostro tempo: da Hans-Georg Gadamer a Remo Bodei, da Jacques Derrida a Paul Ricoeur, e si aspettava dunque l’ingresso delle filosofe, oggi nel segno della ricostruzione e non della presenza, essendo la Kofman morta nel 1994. Ma è una presenza viva la sua, specie nella cultura francese, e che si situa, come ben argomentato da Stefania Tarantino nella sua introduzione, proprio nell’intersezione tra pensiero decostruttivista (Jacques Derrida) e post-strutturalista (Jean-François Lyotard, Jean-Luc Nancy), ma con un taglio decisamente originale, eccentrico per scelta e non per casualità. Stefania Tarantino chiarisce infatti che la posizione intellettuale della Kofman si caratterizza per la sua ambivalenza, per il suo essere né dentro né fuori l’accademia, né contro né con il femminismo. Kofman lavora con gli strumenti classici della filosofia e con la psicoanalisi, ma rifiuta la pretesa di “dire l’ultima parola” e teorizza una parola senza potere.

La sua posizione concettuale è quella della questione aperta, dello svincolo dalla pretesa di verità. Ciò perché, nella sua esperienza di sopravvissuta ai Lager nazisti, non si può escludere il sentire dalla dimensione teorica. E così ella afferma, in Parole soffocate, edito nel 2010 da Marietti, di non sapere come e in che termini parlare dell’evento della morte del padre ad Auschwitz; eppure bisogna parlarne, è necessario che il proprio assoluto divenga assoluto. La storia del padre riguarda tutti noi. Della deportazione e assassinio del padre le resta una penna, che diventa simbolicamente il legame con la storia e il compito di scrivere. Ma insieme all’esperienza paterna vi è la sua, di bambina affidata dalla madre a un’altra donna, che la nasconderà e proteggerà dalla furia nazista. La piccola Sarah si troverà così a dover scegliere, una volta finita la guerra, tra due madri, in un’ambivalenza sentimentale ed emotiva che le aprirà le porte a un nuovo modo di leggere la tradizione filosofica. Imparando a soffermarsi sui dettagli, sulle parti apparentemente poco importanti, la Kofman comincia a decostruire i pregiudizi metafisici presenti nei testi dei filosofi.

Senza aspirare a costruire un sistema filosofico, ella semplicemente legge per scoprire, nella profondità dei grandi sistemi, i meccanismi che sono stati utilizzati per la loro costruzione, i motivi, gli interessi della speculazione, utilizzando a pieno tecniche e strategie freudiane e nietzscheane, ma permeandole di una nuova luce, quella del corpo sessuato. E fa uscir fuori, così, i tentativi e le strategie messe in atto per ridimensionare la questione della differenza sessuale e per nascondere le aporie del pensiero. Ma a questa parte “decostruttiva” Kofman ne affianca un’altra “costruttiva”, quando, per esempio, in Autobiogriffures du chat Murr d’Hoffmann, un testo costruito a partire dalla storia di un gatto che vuole diventare uno scrittore, Kofman smonta l’idea di centralità della soggettività e, facendone venir fuori i lati trasversali e oscuri, mostra quanto i confini tra umanità e animalità, tra vita e morte, siano tanto labili quanto ironicamente sovversivi e capaci di riportarci a quell’infanzia, più volte evocata dalla filosofa, in grado di restituirci la dimensione pulsionale e istintiva del pensiero, altrimenti soffocato dalle spire della sua pretesa superiorità.

Nel mostrare ciò che è comunemente invisibile o tenuto nascosto, Kofman ci pone davanti alla necessità di prendere parola, anche quando l’imprevedibile crea turbamento o il terrore pervade i ricordi e il pensiero, come nel caso della Shoah. Solo fronteggiando il non detto e l’innominabile, infatti, noi potremo evitare l’astrazione che, insieme alle piccole e grandi particolarità del concreto, cancella anche la differenza sessuale. In tal senso, dunque, pur non essendo teorica della differenza sessuale o del pensiero femminista, Kofman si colloca a pieno titolo nel solco di quella genealogia di pensiero femminile di cui oggi si ricostruisce ogni giorno una parte.

Il seminario continua il 17 e 18 maggio con:

17 maggio ore 17-19
Federica Negri (Istituto Universitario Salesiano Venezia)
Riscoprirsi ciò che si è: Sarah Kofman lettrice di Friedrich Nietzsche.

18 maggio ore 17-19
Christiane Veauvy (Maison des sciences de l’homme di Parigi)
Sarah Kofman lettrice di Auguste Comte e di Sigmund Freud