Il racconto. Le confidenze di Giuseppina Strepponi, cantante lirica, futura moglie di Giuseppe Verdi

Primavera 1853. Sant’Agata di Busseto: casa di campagna di Giuseppe Verdi.

Non mi piace l’inverno… rami come scheletri… il buio… la pioggia…

Avete visto come le violette si sono riprese dopo il vento di questa notte? Ho trovato un rospo che saltellava qua e là nell’anticamera. Deve essere entrato dalla porta del giardino… Le gemme delle foglie sulle siepi hanno fatto molti progressi in questi giorni; i fiori dell’olmo si sono aperti  e i boccioli delle giunchiglie…

Chissà perché Lei scelse le camelie… non certo per il profumo… che non l’hanno. Forse per il colore. Bianche come la neve. Rosse come il fuoco. Due estremi.

Mio caro Mago, sediamoci un momento. Ho qualcosa da raccontarvi. Una storia che fa al caso vostro… La protagonista si chiama Marguerite Gautier. Un bel nome, non trovate? Non come il mio: Giuseppina Strepponi, che suona così male!

Ascolta Giuseppina: “Amo e odio Busseto. E’ un paese che ha il malvezzo di intrigarsi spesso degli affari altrui, di disapprovare quello che non è conforme alle sua idee, io ho per abitudine di non immischiarmi se non chiesto negli affari degli altri perché appunto esigo che nessuno si intrighi dei miei. Da ciò nascono i pettegolezzi, le mormorazioni, le disapprovazioni. Questa libertà d’azione che si rispetta anche nei Paesi meno civilizzati, io ho tutto il diritto di esigerla anche nel mio. Che male fo’ se io vivo isolato, se  credo bene di non far visita a chi porta titoli? S’io non prendo parte alle feste, alle gioie degli altri? Se io amministro i miei fondi perché mi piace e mi diverte? Ripeto, che male c’è? In ogni caso nessuno ne subisce danno. Ebbene avrei voglia di gridare a tutto il mondo: sì, è vero, in casa mia vive una signora libera, indipendente, amante come me della vita solitaria, con una fortuna che la mette al coperto di ogni bisogno. Né io né lei dobbiamo rendere conto a chicchessia delle nostre azioni. Nessuno ha diritto di scagliarci un anatema perché a lei si deve pari, anzi, maggior rispetto che non a me e lo ha per il suo contegno, per il suo spirito e per i riguardi speciali a cui non manca mai verso gli altri. Io reclamo la mia libertà d’azione perché tutti gli uomini ne hanno diritto e perché la mia natura è ribelle a fare a modo altrui.

Mi ricordo quando da ragazzo la domenica in chiesa suonavo l’organo. Non si guadagnava molto. Qualcosa di più ai funerali e ai matrimoni. Di soldi in casa ce n’erano pochi. Talvolta per non rovinarmi la scarpe camminavo nei campi a piedi nudi. Volevano che diventassi prete. Figurarsi, un ateo come me! Durante il ginnasio avevo un amico che poi è diventato prete. Era molto generoso. Mi ricordo che divideva con me la sua polenta arrostita.

Ogni volta che ricevo notizie dalla politica trovo che questa nostra patria di eroi, di poeti, di scienziati non merita politici così mediocri e così egoisti… pensare che ero così felice quando l’Italia cacciò gli austriaci, così orgoglioso! Avevo fiducia nella mia patria, ora però…

Ieri sera mi hai detto che non vorresti mai essermi di peso e di noia e poi che vorresti vivere con me per tutti i secoli del mondo. Deciditi! E… non trasalire più quando perdo a carte lo sai che mi sfogo a dare un pugno sul tavolo. Ti sposerò, Giuseppina ma non voglio nessuno d’attorno, per testimoni solo il cocchiere e il campanaro. E appena ultimerò quest’opera voglio che tu come sempre mi dica “questo è bello… questo no… fermati – ripeti – questo è originale…”.

Io per vedere l’alba mi preparo, devo essere vestito e calzato. Tu non so come faccia ad aspettarla sdraiata. Non so perché non ti riesce di riposarti se pensi che la casa non è pulita, se il pranzo non è abbastanza buono e se alla mia giacca manca un bottone. Bada non sono rimproveri! Ho sempre prestato molta attenzione ai miei contratti e tu devi continuare a consigliarmi per il meglio. Ti sono molto grato per questo.

La morte di mia moglie e dei miei figli resta un sasso piantato nel mio cuore che niente può rimuovere. Pensai di non comporre più. Poi la musica mi ha in parte aiutato a superare la tragedia… ma di notte i fantasmi del passato riappaiono…”

Giuseppe, vi ricordate, Giuseppe, la prima volta che mi baciaste? Fu in carrozza. Io avevo i guanti lunghi. Voi mi baciaste prima la mano, poi saliste lungo il braccio e poi più su fino alla bocca. Vi fermaste sulle spalle che avevo nude, mi sussurraste che il mio odore vi riempiva tutto, che la mia pelle sapeva di profondo, di selvaggio, di vasto. Forse in quel momento percepiste l’odore della mia solitudine e del mio calore. Immaginai di trasformarmi per voi in una sirena, in un cigno, in un pavone, in una perla, in una foglia. Avrei voluto essere incapsulata in una fiala di clessidra.

La seconda volta fu tra una cavatina e una cabaletta. Testimone il pianoforte. La terza volta… beh, sorvoliamo.

Nonostante ciò, mio caro Tiranno di Siracusa, firmaste molte sentenze d’esilio nei miei riguardi… Cosa borbottate? D’accordo, d’accordo, ho capito: niente recriminazioni, niente piagnistei. Sono la vostra donna ora; che il mondo lo voglia o no!

Quando interpretai il “Nabucco” nei corridoi de La Scala già si mormorava su di noi, ma niente era ancora accaduto… Vi sussurrai all’orecchio “credono che io sia vostra” e voi mi rispondeste “lasciate che lo credano”. Eravamo tutt’e due più giovani e il sangue che ci scorreva nelle vene era bollente. D’un battito divenni vostra…

“Uno per l’altro siam nati, vivremo uno per l’altro uniti” mi scriveste…

Pensare che il “Nabucco” voi non volevate neppure musicarlo. Ma quando i vostri occhi caddero sul quel verso – “Va pensiero sull’ali dorate” –  beh, allora cominciaste a leggerlo una, due, dieci volte quel libretto e nella testa vi frullò dapprima un verso, un altro giorno una nota, un altro una frase… e l’opera fu presto composta. Quell’opera è più di un’opera, è un simbolo: ha contribuito a creare un popolo e ha legato indissolubilmente noi, comunque, se è vero, come mi rimproverate talvolta, che mi atteggio a chiaroveggente, vi predico che il Nabucco simbolo dell’Unità d’Italia lo sarà per sempre, anche quando noi non ci saremo più.

Voi, mio adorato Mago, non dovete essere così pessimista sui destini della nostra patria: essa non resterà, come voi spesso paventate, povera, debole, senza libertà, semibarbara e disunita. Essa riuscirà nella sua eroica impresa di diventare grande, potente e rispettata…

Accendo la lampada. Si sta facendo buio.

Mi vesto spesso di nero quasi per oscurarmi… Gli abiti colorati li riservo al palcoscenico… forse per confondermi con il paesaggio, forse per non attirare troppi sguardi. Marguerite, invece, si vestiva di bianco, sempre di bianco, forse perché sapeva che il suo cuore era puro…

Io qualche volta sono quasi sorpresa che tu sappia la musica. Davvero! Non sto scherzando! Ti ricordi quella lettera che ti ho scritto? Ti dicevo che…

 “Quello che obbliga il mondo a levarsi il cappello è qualità cui non penso mai.

Per quanto quest’arte sia divina e il tuo genio degno dell’arte che professi, pure il talismano che mi affascina e che io adoro in te è il tuo cuore, la tua indulgenza per gli errori degli altri mentre sei tanto severo con te stesso, la tua altera indipendenza e la tua semplicità da fanciullo. Il tuo amore è un balsamo per la mia anima, qualche volta ben triste sotto le apparenze dell’allegria. Continua ad amarmi, Giuseppe! Amami anche dopo morta, o mio Redentore!”

Il tuo finale per la Traviata è troppo ingiusto, troppo drammatico, troppo doloroso… Marguerite non può morire così… senza rivederlo. No, non può! Noi, caro Maestro, cambieremo il finale. Sì… Lui lo faremo tornare.  Lei lo stringerà ancora una volta tra le sue braccia. E, tra le braccia di Lui, Lei morirà.

Lui lo chiameremo Alfredo. E’ meglio per la rima. ‘Amami Armando’ non torna… E Lei la chiameremo Violetta. Un fiore spontaneo, profumato. Un fiore che, credo, un po’ mi somigli…

Giuseppe… ma come! Niente ouverture? Solo due preludi? Benissimo! La partitura sarà audace. Il soggetto lo è già. Pazienza se lo sciame di insetti che ronza e che punge ci darà dei traviati!

Debutto alla Scala e poi… Opéra! La “grande boutique” come la definisci tu.

Speriamo che non sia un fiasco!

Nostra la notte e poi sognami ancora come si sogna l’impossibile.

Ti desidero come Iddio.