E’ questo un libro che si legge tutto d’un fiato, ma che toglie il respiro via via che ci si inoltra in questa narrazione sotto forma di diario, ovvero monologo/cronaca/confessione che riassume una vita emersa dall’inferno di un castigo non meritato … “Ricordare per imparare a dimenticare” (Europa edizioni 2022). L’autrice del libro, Catia Balla ha voluto riportare la testimonianza di un incontro, quello con una donna di mezza età con la quale ha allacciato un rapporto di amicizia, costruita su confidenze delle quali si è poi fatta carico con questa pubblicazione.

La protagonista di questa storia ora aiuta suo figlio nella gestione di un bar in una città che non viene nominata, quindi è durante le visite casuali della nostra scrittrice-cliente che le ha saltuariamente narrato “i fatti propri” in piccole dolorose puntate, con un linguaggio semplice ma efficace, tra l’altro in dialetto. Infine un giorno inaspettatamente, le ha portato 36 cassette audio auto/registrate, manifestando così il desiderio che ne facesse un libro, mantenendo naturalmente il proprio anonimato, ma confessando di aver aspettato che la propria madre morisse perché … se no, le avrebbe sicuramente chiesto “i diritti d’autore”.

Una battuta significativa questa (considerando poi lo svolgersi dei fatti) che voleva finalmente prendere distanza da tutto il dolore e la rabbia accumulate, dall’infanzia alla maturità, non prima di essere riuscita, anche con l’aiuto di una terapia psicologica, ad avere il coraggio di “ricordare per imparare a dimenticare” come dice il titolo del libro.

Mi preme sottolineare a questo proposito, che il punto nevralgico intorno al quale “le due autrici” hanno fatto girare le loro considerazioni e le loro energie, è il qualcosa dentro di noi che si ribella, nonostante tutto, e ci spinge alla ricerca di una propria identità, di una propria dignità esistenziale, superando il terrore di opporsi alla violenza, alla prevaricazione, soprattutto quando è addirittura la propria madre la co-autrice di tale rovina. Il libro ci comunica che si può superare quella tremenda paura della solitudine che cede a qualsiasi dimensione proveniente dalla propria famiglia, nell’illusione che, per questo, si possa ricevere un po’ d’amore. Il libro infatti riporta in prima pagina la dedica “Alla leonessa che è in te” facendo da eco all’immagine di copertina, dove questo felino campeggia enigmaticamente in morbide tonalità di grigio.

In realtà alla vittima (suo malgrado) di tale torbida esperienza, non si può dire sia stata concessa alcuna facoltà di scelta, invece un’intensa vergogna e sensi di colpa, come si sa, accompagnano sempre le vittime di stupro, soprattutto se giovanissime. Chi conduce il gioco fa sempre un buon lavoro, scegliendo con cura i propri oggetti sessuali e non mollando la presa finché questa non si arrende completamente … purtroppo la vergogna non è stato il solo “dono” ricevuto dalla madre e dal suo degno compagno e delegato stupratore, che lei chiama “Il mostro”. La confusione mentale e dei ruoli, la dipendenza praticata in casa di alcool e tabacco, erano le atmosfere tossiche in cui sarebbe stata condannata a vivere per sempre, se non si fosse ribellata, mentre il finale sarebbe dovuto essere l’introduzione alla pratica del mestiere della prostituzione.

Le suore alle quali era stata affidata, fin dalla nascita, l’avevano protetta ma l’avevano fatta vivere in un mondo irreale mentre la bambina (che emblematicamente non ha nemmeno un nome fittizio nel libro) era cresciuta già problematica, dormiva poco e preferiva giocare da sola, soprattutto desiderava conoscere sua madre. Ma quando questa madre desiderata arrivò a prelevarla (lei aveva undici anni) non sarà come aveva pensato dovesse succedere, ma il contrario, in tutti i sensi …

(…) In collegio era bello quando ci insegnavano ad amare tutti indistintamente, ricchi, poveri, buoni e cattivi. Una volta domandai: perché devo amare anche i cattivi? Mi risposero che andavano amati poiché erano diventati cattivi proprio perché nessuno li aveva mai amati. Deve essere stato in seguito a questi insegnamenti che ho continuato ad amare mia madre, anche se la consideravo cattiva. L’ho amata quando non la conoscevo, quando veniva a trovarmi in collegio e non mi considerava, l’ho amata anche se non mi ha mai portato neanche una caramella, l’ho amata quando non mi faceva neppure una carezza e non si accorgeva della mia presenza. Restavo accanto a lei muta e con gli occhi fissi, immobile, aspettando un gesto d’amore. Quasi non respiravo per non arrecarle disturbo con la mia presenza. Avrei scodinzolato se ne fossi stata capace. Ho cominciato ad amarla un po’ meno quando mi fece trascorrere un giorno e una notte fuori casa, tra un bar e l’altro, senza parlare e senza spiegazioni. Ero una bambina e il giorno dopo andai a scuola e mi addormentai sul banco, inevitabilmente. (…)

Purtroppo anche il resto della famiglia non è d’aiuto; il nonno, la sorella e gli altri passano dall’indifferenza all’aggressione, non risparmiandole botte ed insulti, lo stesso ritorno al collegio di sua volontà presenterà sgradite sorprese. Sembrava non esserci soluzione, ma c’era sempre una vocina dentro di lei che gridava “non può finire così” … e come nelle favole di antica memoria iniziatica, seguendo quella piccola “luce” lei troverà la via d’uscita dal buio della sofferenza e dell’inconsapevolezza.

La sorprendente abilità di Catia Balla ha tradotto lo stile asciutto ed al tempo umile della protagonista in una narrazione sintetica ed efficace. Questa, senza compiacimenti descrittivi né lagnanze ha descritto, con tratti anche ironici, crudeltà e drammatiche riflessioni sul procedere degli eventi, considerazioni, confronti e sogni che riguardano tutte le donne, specialmente quelle abusate e fatte sentire per questo, molto fragili. Un epilogo sereno sarà duramente conquistato e l’autrice della pubblicazione, Catia Balla, non nasconde ora il desiderio che, su questa storia, possa nascere una rappresentazione teatrale, lanciando un invito a coloro che potrebbero essere interessate/i, a costruirla.


Catia Balla è nata a Tivoli (RM) dove tuttora vive. Ha lavorato per 36 anni presso la Pubblica Amministrazione del Ministero della Giustizia. E’ divorziata, ha un figlio ed è diventata felicemente suocera e nonna. Ha scritto e pubblicato un piccolo testo in poesia “Sentimenti in immagini e parole” dal quale è stata realizzata una mostra d’arte a cura della professoressa Lucrezia Rubini, con l’interpretazione degli artisti Emanuele Fasciani, Letizia Rigucci e dei ragazzi del Liceo Artistico di Tivoli.