Una riflessione a margine dell’assemblea “Comizi di Donne” tenuta a Napoli il 5 luglio 2022 (ndr)


La complessità dei tempi che viviamo costringe a riflessioni e comportamenti rigorosi. A partire dalla situazione di ciascuno/a la vita appare prendere tratti e colori decisamente differenti. Per alcuni il presente è un inferno, per altri la cuccagna. Viviamo più che in una società civile (“una repubblica fondata sul lavoro”…)  in quello che somiglia a un dipinto di Bosh, con il suo catalogo di delizie e dannazioni messi lì in maniera alogica e fantasiosa, come se non ci fossero mai né un senso né un perché. Dopo una pandemia che ha fatto milioni di morti e compromesso l’economia, è ricominciata la consueta baldoria alcolica nelle città e il solito andirivieni vacanziero, come se non ci fosse un domani. La guerra è alle porte, ma si preferisce disquisire sui prossimi movimenti di un ex primo ministro entrato di traforo in politica e allargatosi alle prime pagine dei giornali con evidente eccesso di amplificazione.  In questa confusione e stacco tra realtà e narrazione della realtà, tra capacità di pensiero e di azione da una parte e babele del mondo dall’altra, si perde la presa e si entra in una vertigine di non-senso pericolosa quanto profonda. Perciò bisogna delimitare il campo di osservazione, chiarire ciò di cui si intende parlare, evitare quella che Heidegger chiamava la “chiacchiera”.

Per fare ciò, bisogna “partire da sé”. Dai propri vissuti, dalle proprie esperienze, dalle proprie condizioni. Donna, omosessuale, lavoratrice dipendente: che prospettive? Quali possibilità? Quali parole per dirlo? Uomo, eterosessuale, proprietario: che prospettive? Quali possibilità? Quali parole per dirlo? E ancora: donna, giovane, scolarizzata, disoccupata: che prospettive? Quali possibilità? Quali parole per dirlo? E così via…. Sembrerebbe che davvero la realtà abbia tante facce, tante verità, quante sono le persone nel mondo. È allora che scatta il bisogno e la bellezza del confronto, della condivisione, del ri-conoscimento, della relazione autentica e dialogica con altri/e. Individuare insieme attraverso l’autocoscienza le diverse forme degli ostacoli e degli aiuti alla realizzazione del sé e alla liberazione dall’oppressione è d’altra parte la pratica che da 50 anni le donne portano avanti, tra discontinuità e costanza, come è giusto che sia. Perché, allora, capita che un’assemblea di donne finalizzata a ipotizzare un manifesto per una rinnovata consapevolezza del femminile si trasformi in un “già detto” privo di ricadute teoriche o pratiche? Il 5 luglio infatti ha avuto luogo a Napoli l’incontro-conversazione ispirato al film Comizi di Donne, un film di oltre 3 ore prodotto e curato da Maria Teresa Annarumma che riprende il titolo del pasoliniano Comizi d’amore e che intende raccontare le donne di Napoli. Ma la discussione, seppur introdotta da interventi solidi e volenterosi, non si apre né a una riflessione teorica ampia e rigorosa, né a un’organizzazione pratica di attività da mettere in campo per un’azione politica e quindi pubblica, ma ricade invece in individualistici usi e abusi di materiale oramai sterile e inutilizzabile.

C’è una evidente mancanza di spazi, fisici e mentali, in cui operare con il rigore e la chiarezza di cui sopra. Questi spazi ci sono ma sono già occupati e talmente statici da non poter consentire l’ingresso a niente di nuovo? Sono crollati? Erano solo un sogno e sono svaniti nel nulla? E ancora, esiste un sistema con il quale confrontarsi per la realizzazione dei progetti, oppure l’unica giustificazione della propria ragion d’essere resta la critica al “sistema”? Con le troppe domande forse si rischia la stessa improduttività che ho respirato alla suddetta assemblea, ma almeno avrò detto basta almeno per parte mia, alla “chiacchiera” in nome delle donne.