Pubblicare un’autobiografia poetica significa fare il punto, da dove si parte e dove si arriva, vivendo in una “tempesta presente”: che Loredana Magazzeni sia poeta è indubbio, sa coniugare parole e forma e dargli sostanza.

Colpisce che le sue prime quattro poesie siano frammentate, disgregate, con le parole disposte come satelliti dispersi, che però si riannodano nelle liriche sull’emigrazione della sua famiglia nella sognata America, dove la “pena” è termine sapientemente ricorrente, lo stigma di chi abbandona la propria terra e ha già “dimenticate le vie del ritorno”.

Anche se “irrimediabile” la sua poesia reca con sé la “speranza”, lemma che riusa come fine ultimo del periodo di pandemia di Covid, quando la disobbedienza dei “normali” è proprio rigettare la negatività e credere in un futuro migliore.

Ne La conta dei dispersi colloca i ricordi di poete/i cari (Ferraris, Magri, Febbraro, Mesa, Bordini) e anche uno sguardo rivolto alle tragedie del femminicidio, dei morti nel Mediterraneo, al “progresso” – nel quale siamo invischiati – e sono temi forti, cogenti.

Ci sono i versi di rimando a quelli della compianta e suicida Antonia Pozzi, la cui poesia è attraversata “dall’anima delle cose”, e quelli del successivo poemetto Canto alle madri, strutturato quale un coro di donne che riflettono sui concetti di maternità e infanzia, in cui la scrittura “ferita” diventa cristallina, con una purezza che mi rammenta Residenze invernali di Antonella Anedda, una grande poeta contemporanea.

Nell’incompiuta La miracolosa ferita risuona la parola “bellezza”, concetto così vituperato e poi da lei recuperato nelle rime dedicate a Marilyn Monroe, insieme alla parola “braci”, a significare qualcosa che arde e brucia costantemente dentro lo spirito di questa letterata, che, riflettendo sulla funzione della poesia, la indica come “profetica” e in una lirica finale si chiede “se serve a credere, ed anche un poco a vivere”.

Sono numerosi i riferimenti letterari, disseminati lungo le pagine, oppure espliciti come il tributo al pensiero della filosofa Maria Zambriano ed ecco che Loredana ad un certo punto ci rivela che “Nel riparare è il gesto del cucire […] Nel riparare è il gesto più sapiente”, come a significare il modus vivendi, perché la parola ci illumini e ci faccia proseguire.

Nell’ultima sezione Volevo essere Jeanne Hebuterne – la pittrice, modella e compagna di Amedeo Modigliani – spicca il lungo componimento La bambina o serie del colesterolo, dove con ironia e sapienza parla di “disamore” e del rapporto viziato col cibo ed anche della “casa di carta” di questa “Bambina”, che “Mentre scrive, filtra la vita, produce miele”.

Eppure la cifra sua più evidente è la conclamata appartenenza al femminismo, in quanto la poeta parla “alla donna alle donne” e descrive “Donne come una viva fiumana di colori e di gonne e di capelli” che ci vengono incontro con baldanza: sono un popolo che rivendica la prima persona plurale, il “noi”, e si riconosce in una moltitudine di “uguali”.

La lingua poetica di Magazzeni dunque è politica, coglie il “dolore” che caratterizza la vita degli esseri umani e lo rende fluido: in questo “alveare comune” che è il “mondo” emerge come un urlo una richiesta urgente:

“Eppure se tutto fosse diverso.

Se potessimo insieme pensare e insieme respirare e nutrirci.

Nessuno sarebbe in esilio, la terra il nostro paese”.


Loredana Magazzeni, Nella tempesta presente. Poesie 1998-2023, Macerata, Seri Editore, 2023, 15 e.