Una capacità di declinare al femminile il romanzo di formazione, strutturandolo come trasformazione di sé, il prevalere del tema sulla trama, un talento per i dialoghi, attinto dalla lezione shakespeariana, la critica della società patriarcale, questi complessivamente gli elementi presenti nella prosa di Jane Austen, una delle più stimabili scrittrici europee, vissuta fra la fine del Settecento e gli inizi del diciannovesimo secolo.

I grandi narratori ed i poeti usualmente sfuggono a quell’oblio che copre la maggior parte degli sforzi umani: vibra nelle loro pagine la capacità di trasmettere ai posteri ciò di cui l’umanità ha vissuto.

E’ questa la riflessione di Harold Bloom, critico letterario statunitense, che della prosa di Jane Austen esalta la capacità di far commuovere.

Le pagine di Persuasion, ultima opera della scrittrice britannica, sono a tratti pervase da un senso di tristezza, rappresentano forse l’espressione più matura della sua produzione e dunque, in qualche modo, un mirabile lascito letterario. In Persuasion il sentimento dell’amore, che tanta parte aveva avuto nei precedenti romanzi, viene ironicamente narrato dentro le pieghe di una malinconica amabilità.

L’ironia nella scrittrice britannica è stata, nel suo complesso, una sorta di metodo di comprensione: quanto più la Austen descriveva il mondo intorno a lei, tanto più coglieva di quel mondo contraddizioni, paradossi ed anomalie, animata lei per prima dal desiderio di leggere del milieu culturale d’appartenenza spunti ed aspetti capaci di far parte del processo creativo nella sua stessa scrittura .

Anne Elliot, la protagonista di Persuasion, incarna una figura femminile complessa e mostra una maturità che le deriva dai suoi 27 anni, un’età che Pietro Citati scherzosamente definisce quasi decrepita.

Anne in qualche modo rappresenta Jane?

Spesso sorge il dubbio se i personaggi della Austen non ci consegnino, anche, un quid inteso come una sorta di autobiografia, indiretta, dell’autrice stessa.

La delicatezza di Anne Elliot invoca un diritto al desiderio d’amore, facilmente disconosciuto dal milieu cultuale del tempo, centrato invece sull’approvazione dimodelli antropologici che comprimevano le persone nei ruoli rappresentati.

La trama di Persuasion si scandisce attraverso un sentimento di rimpianto per l’ amore da Anne rifiutato, dopo aver ceduto alla soave e tetragona opera di persuasione esercitata da Lady Russel, madrina della protagonista. Lady Russel incarna quella devozione asettica allo stereotipo che allora non ammetteva le nozze con personaggi per così dire spiantati, di rango valutato inferiore, una posizione sociale di cui godeva il capitano Wentworth.

Pur rifiutato, e dopo sette lunghi anni, nei quali Anne Elliot si consuma e rammarica, il capitano Wentworth ritorna, ricco ed ancora innamorato, forte del suo immutato sentimento, rinnovando alla sbiadita Anne, una donna che la Austen descrive struggersi nel tormento d’amore, la sua proposta di matrimonio, toccante, esplicita e dai toni intensi.

Scomparse dunque la leggiadria di Elizabeth ed arginata la verve di Mary Crawford, Anne Elliot rappresenta una malinconica compostezza.

Può forse la Austen stessa aver vissuto dell’amore il senso di perdita, quello stato d’animo indotto anche dal rimpianto inquieto e ondivago della rappresentazione dell’assenza (dell’amato)?!.

La tristezza della perdita in Persuasion punge ben oltre i contenuti evocati da semplici parole, testimonia di un sentimento potente che un finale, preannunciato come lieto nella formula di open ending, paradossalmente, e con limpida grazia, riesce ad ombreggiare.

E’ guida la scelta di un lessico in grado di dettare, con elegante parsimonia, i tratti caratteriali dei vari personaggi, quanto Thomas Babington Macaulay già sottolineava rispetto a complicazioni d’amore ove rimanevano impigliati personaggi modesti, uomini e donne comuni.

Se per A. Gide la Austen possiede un talento che però pare non conquistare la perfezione di vette esposte a venti forti, è altrettanto vero, per dirla con Mario Praz, che nella narrazione della scrittrice britannica convince e stravince la peculiare capacità di dipingere, con tratti leggeri, intinti di malizia, un piccolo mondo di provincia.

Un mondo nel quale si presume lei stessa abbia vissuto un’esistenza monotona e parca, a conferma, lo ribadisce ancora Mario Praz, della attitude ad un esercizio letterario che a sua volta matura una stesura narrativa sobria, priva di orpelli lessicali. Se da una parte questi ultimi potrebbero aggiungere ulteriore colore alla narrazione stessa, dall’altra si rivelerebbero però elemento ripetitivo, capace di mortificare l’immediatezza delle azioni e reazioni nei vari personaggi.

Jane Austen è stata una scrittrice che ha però decisamente trasposto istanze innovative nella parabola esistenziale delle sue creature e legittimato soprattutto l’autorevolezza nell’amor proprio delle sue protagoniste.

Le giovani donne che Jane Austen ha il garbo e la profondità di descrivere possiedono una capacità di sguardo alimentata dalla grazia e dalla determinazione di intestarsi, motu proprio, un soggettivo e personale discorso sulla vita e sulle relazioni che in quella (loro) vita decidono di voler costruire.

Vivono un piccolo mondo, ulteriormente rimpicciolito dagli stereotipi che lo governano, ma rivendicano il diritto a pensare ciò che pensano e l’orgoglio legittimo di poterlo esternare, entrando in relazione l’una con l’altra, come sorelle, amiche, rivali e figlie.

Forti di un sentimento che capovolge schemi e ruoli e declina una contezza di sé nuova, assunta come bussola in direzione di una identità alla quale non rinunciare, legittima ed ancor più legittimata da propri e veri desideri.

Un sentimento, quello dell’amor proprio, che nel dialogo fra Elizabeth e Mr.Darcy diventa il simbolo di una dignità interiore liberamente vissuta.

Darcy: signorina Elizabeth, questi mesi trascorsi sono stati un tormento! Sono venuto qui con il solo scopo di vedervi! Ho lottato contro la mia volontà, le aspettative della mia famiglia, l’ inferiorità delle vostre origini, il mio rango e il patrimonio. Tutte cose che voglio dimenticare per chiedervi di mettere fine alla mia agonia…

Elizabeth: non capisco….

Darcy: vi amo con tutto me stesso! Concedetemi la vostra mano, vi prego!

Elizabeth: signore, io apprezzo i conflitti che avete fronteggiato. Mi duole molto avervi causato pena. Credetemi, è stato fatto in modo incolpevole…

Darcy: è questa la vostra risposta?

Elizabeth: assolutamente!

Darcy: vi state prendendo gioco di me?

Elizabeth: affatto!

Darcy: mi state respingendo?

Elizabeth: signore, sono sicura che i sentimenti che hanno offuscato la vostra lucidità vi aiuteranno a superare, a dimenticare…

Darcy: potrei chiedervi perché vengo respinto con un così poco riguardo alla cortesia?

Elizabeth: ed io potrei chiedervi perché, con una così evidente intenzione di insultarmi, avete dichiarato di amarmi contro la vostra volontà?*

Se Cassandra Austen, sorella di Jane, a lei profondamente legata, non avesse bruciato quasi tutte le lettere che la stessa Jane le aveva inviato, avremmo forse meglio conosciuto Jane, un personaggio limpido, paradossalmente anche enigmatico, definito dalla Woolf imperscrutabile e misterioso, collocato poi ai primi posti nella lista dei grandi romanzieri inglesi stilata dalla Woolf stessa. Quasi due secoli più tardi, Harold Bloom concorda e riconosce così a Jane Austen la fulgida cittadinanza in un consesso di eccellenza di soli 26 scrittori, in base al suo canone occidentale, un criterio stilistico e narrativo.

Al centro dei romanzi di Jane Austen troviamo l’amore, l’aspirazione alle nozze e le complicate azioni e reazioni messe in campo per il conseguimento delle medesime. Troviamo anche emozioni, contenute, la movenza delle ritrosie, l’ironia leggera, ma mai banale, che fronteggia di un mondo maschile moti dell’animo e comportamenti.

Se Piera Degli Esposti, intervistata da Paola Leonardi, invitava le giovani donne a saper duellare con i loro compagni per ricamare uno spazio relazionale fra uomo e donna, con altrettanta verità i personaggi femminili, creati dalla Austen, sottolineano l’importanza del coraggio, silenzioso ma non muto, capace di contrastare e difendere.

Spesso un coraggio nutrito d’ indulgente ma realistica consapevolezza: sventure e dispiaceri possono affrontarsi mettendo in campo una pazienza attiva ed attivatrice di nuovi equilibri.

Tutti aspetti attribuiti spontaneamente alla singolare intelligenza emotiva della scrittrice, più che ad una mera scelta stilistica.

Se in Jane Austen pare mancare, a detta della Woolf, quel guizzo scontroso e tenace, capace di farsi segnale profondo di ribellione esplicita, imperiosamente denunciata, più volte simbolo di un’insoddisfazione drastica e manifesta, è verosimile, forse, anche l’ipotesi che il percorso letterario di Jane Austen possa essere definito un chiamarsi fuori dalla storia collettiva.

In nome della scelta di rendere giustizia alle donne che vivono dentro un mondo la cui rappresentazione risulta così miracolosamente efficace perché sussurra anche la possibilità di un riconoscersi a sua volta sorretto dall’ ambivalenza.

*N.d.R. Il dialogo fra Elizabeth e Mr.Darcy è stato liberamente rielaborato da J.Austen, Orgoglio e pregiudizio, Feltrinelli, Milano, 2013

La foto è tratta da Jane Austen (1775 – 1817) – Lilly Library, Indiana University, Pubblico dominio