Lilja Brik visse 15 anni con il poeta rivoluzionario Vladimir Majakovskij. Lui si suicidò nel 1930 e lasciò scritta la famosa frase: “Come suol dirsi l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro la riva quotidiana. Tra la vita e me i conti tornano. Lilja amami…”

Lilja e Vladimir si erano conosciuti nel 1915. Lei aveva 23 anni, lui 22. Lei era sposata con Osip Brick, critico letterario. Vissero insieme: lei, il poeta e Brick. Una scelta giudicata scandalosa anche in tempi rivoluzionari.

Lui è allegro, tragico, chiassoso, tormentato, sfacciato…

La camicia di velluto, il cilindro, una bella sciarpa arancione, le grosse mani e quel grande talento di saper poetare a meraviglia.

Lei è capricciosa, fiera, incostante, malinconica. Si dedica alla danza classica, ama la letteratura, grandi occhi marroni “roventi fino ad incendiare”. I capelli rossi “una donna più fragile di un uovo di pernice”, sottile come il soffio di un canarino selvaggio.

Dopo “Il flauto di vertebre” Majakovskij compose un “Don Giovanni”. A lei non piaceva che, ancora una volta, lui parlasse di un amore infelice. Lui glie l’aveva recitata all’improvviso, mentre erano per strada. Quando Lilja espresse il suo parere Vladimir estrasse dalla tasca il manoscritto, lo fece a pezzi e lo disperse al vento. Raccontava Lilja che il samovar bolliva sempre in casa e che loro non si separavano mai. E quando andavano a spasso per Pietrogrado, Vladimir indossava un cilindro ed io un grande cappello nero ornato di piume. Una passeggiata al tramonto in Corso Nevskij. La luce era ancora chiara e talvolta restava così tutta la notte. I lampioni erano accesi ma non davano luce. Una volta siamo entrati in un negozio e Majakovskij con fare misterioso sussurrò alla commessa: “Vorrei signorina, una matita rara che sia rossa da un lato e si figuri blu dall’altro!”

La notte passeggiavamo sul lungofiume. Per fortuna le navi non esalavano fumo ma sprizzavano manciate di scintille. Quando vivevamo insieme, io Vladimir e Osip, ognuno aveva la propria stanza. Vladimir, la mattina, si alzava sempre per primo e si metteva a passeggiare, impaziente, davanti alla porta di Osip. Se Brick era già sveglio gli piaceva rimanersene a letto a sfogliare un libro o a risolvere un problema scacchistico. Vladimir voleva che venisse subito a far colazione con noi. Era Vladimir a preparare le tartine, poi si leggevano i giornali e si discuteva. Per molti anni ebbe inizio così ogni nostro giorno. Dopo la morte di Vladimir l’ho sempre sentito tornare a casa, aprire la porta con la chiave e con rumore appendere il bastone nell’anticamera. Sì, l’ho sempre visto entrare, togliersi subito la giacca, correre a lavarsi le mani e lasciarle poi pendolare gocciolanti. Ancora oggi mi pare di vederlo nelle strade di Mosca e di Leningrado e talvolta mi capita di chiamarlo…

Spesso lui diceva: Lilja amami! Io lo amavo e lo amo. Anche quando non c’era più, tutti i giorni e tutte le notti lui mi parlava con i suoi versi.

Di più non diremo. È risaputo che lui non amava i pettegolezzi! Gli disubbidiamo solo per ricordare che il grande poeta era figlio di un guardaboschi russo e di una casalinga ucraina.