Donatella Gasperi recensisce il libro curato da Liviana Gazzetta “Il partito delle donne. Storia dell’Unione Politico-Nazionale fra le donne d’Italia (1918-1923).


Un lavoro accurato, di grande scavo nei testi e nel periodo storico, quello che Liviana Gazzetta propone nel volume in questione: uno spaccato della storia del femminismo che mostra come la trasversalità del pensiero femminista di fine Ottocento viene man mano indebolito dall’appartenenza politica, che supera i diritti “di genere” per allinearsi e uniformarsi al pensiero dominante di una classe dirigente che cerca di emergere e ha bisogno di consenso. Il femminismo moderato quindi diventa momento di dibattito importante che crea un humus per la “normalizzazione” necessaria alla ricostruzione di un Paese prostrato dalla guerra. Le donne che hanno “occupato” i ruoli maschili vacanti devono tornare a chiudersi in casa e lasciare il posto ai reduci. Non tutte le articolazioni del movimento sono disposte ad assecondare un percorso che chiede di rispondere “ai doveri e non solo ai diritti” e che, avendo chiara l’involuzione che viene proposta, si richiama al pensiero socialista e a quello liberale più avanzato.

Liviana Gazzetta, storica, curatrice della collana “Effe. Scaffale del femminismo” per Tab edizioni, ci propone uno spaccato vivissimo del fermento di un periodo storico travagliato che vede il movimento femminista fare i conti con tutto ciò che la Prima guerra mondiale lascia in eredità fino alla presa del potere del regime fascista. La nascita dei partiti non lascia spazio alle articolazioni femminili e solo nel dopoguerra con le riforme elettorali che allargarono il bacino degli aventi diritto al voto e introdussero il sistema proporzionale, socialisti e popolari iniziarono a ragionare effettivamente sul suffragio femminile e il dibattito, naturalmente, diventò argomento per l’emancipazione. Il femminismo moderato però continua a pensare che gli interessi delle donne non sono politici e che l’attivismo assistenziale è il suo elemento caratterizzante. Nel 1919 vennero fondate sei nuove riviste femminili “ma la novità più rilevante fu la nascita di vere formazioni politiche femminili-femministe intenzionalmente indipendenti dai partiti esistenti”: così nel 1919 a Torino venne fondato il Gruppo italiano d’azione femminista (GIDAF) che voleva “costituire il partito femminista” e a Roma l’Unione politico-nazionale fra le donne (UPNDI) che si rivendicava “terza” rispetto al socialismo e al popolarismo, ma si ricollegava idealmente ai tardo-liberali. Comunque tutte caratterizzate da  debolezza di fronte all’emergere della destra eversiva. In un contesto magmatico e drammatico, Gazzetta ci conduce attraverso le peripezie e le evoluzioni del movimento tra le cui esponenti spiccano intellettuali, artiste, giornaliste

Molto interessante la scelta dei testi dell’antologia composta da Liviana Gazzetta che si dipana nel quinquennio 1919-1924: basta scorrere l’indice del volume per seguire il dipanarsi di un percorso ideologico e rivendicativo: da “Il nuovo cammino delle donne” della scrittrice Giannina Franciosi che si indirizza verso l’assistenzialità e che poi arriverà a supportare le posizioni del fascismo, a “Lavoro e diritto di voto” di Antonia Nitti Persico – scrittrice, moglie e consigliera di Francesco Saverio Nitti, femminista e antifascista – che ragiona sulla necessità di un ruolo attivo della donne nel mondo del lavoro e quindi del diritto di voto perché la partecipazione politica delle donne appare come necessaria alla società. Per il diritto al lavoro delle donne in quanto “evoluzione storica necessaria incoercibile” si esprime anche Eloisa Battaglini, esponente del Consiglio nazionale delle donne e della Federazione pro suffragio, che arriva a dichiarare la possibilità per una donna di vivere del proprio lavoro. Di grande interesse anche i testi riguardanti le posizioni politiche che mostrano come il collante del genere non basti a tenere insieme una visione dell’emancipazione e del ruolo della donna nella società, per cui si passa dall’analisi dell’attivista socialista Laura Casartelli che si chiede se l’UPNDI sia “Una forza politica femminile?”, mostrando scetticismo nei confronti di un organismo che “si propone di accogliere le donne di tutte le fedi, di tutte le classi, di esercitare la sua azione sostenendo di volta in volta le singole iniziative, i singoli uomini dei diversi partiti”.

Sempre della Casartelli  – che tra il 1920 e il 1925 firmò la Rassegna del Movimento femminile italiano all’interno dell’ Almanacco della donna italiana – è il brano che chiude la parte antologica del volume: “Il partito delle donne e le liberali” pubblicato nel 1924, dove l’amarezza emerge con gran forza: “Con l’egemonia del fascismo, come volete che sia rimasto in piedi, del movimento femminile, quello che riguarda la sua partecipazione nei partiti politici? le poche donne nei vari partiti sono disperse ed è sorto ancora una volta un piccolo tentativo di costituire un Partito femminile…” e riporta il manifesto lanciato alle liberali italiane da Flavia Steno – giornalista, fondatrice nel novembre 1919 della nella rivista «La Chiosa» – che chiede loro di iscriversi “non per occuparvi di politica disertando la casa, ma per lavorare alla fortuna e alla sicurezza delle nostre case, tempio sacro dove la Famiglia prepara le fortune della Nozione…”. Un afflato che chiede il consenso e il sostegno delle donne, consenso che crea cultura e socialità –  quindi prezioso – in un’epoca in cui le speranze di emancipazione sono soffocate dall’illiberalità del regime fascista.

Donatella Gasperi