Françoise Duroux (1942-2015) ha insegnato all’Università di Paris VIII, dove è stata responsabile di un master sul pensiero della differenza e di un dottorato di Studi femminili, è stata una docente e una militante femminista.

Il paradigma perturbante della differenza sessuale. Una filosofia femminista di Françoise Duroux (A cura di Stefania Tarantino e Chiara Zamboni, Mimesis 2021) raccoglie alcuni degli scritti di Françoise Duroux e alcuni saggi critici. Su queste pagine ne ha parlato Giovanna Borrello nella sua recensione del febbraio 2022.

Ne parliamo con Stefania Tarantino, curatrice del volume insieme a Chiara Zamboni, autrice di uno dei saggi critici e traduttrice di alcuni scritti di Duroux contenuti nel testo.

Il paradigma perturbante della differenza sessuale. Una filosofia femminista sarà oggetto di un incontro, sabato 14 maggio alle ore 18.00, alla Libreria delle donne di Milano con l’intervento delle curatrici e di Luisa Muraro.


Paradigma e perturbante, che ricorrono nel titolo del libro, sono concetti contrastanti. Paradigma è un modello, qualcosa di codificato insomma, che rimanda a una certa regolarità. Perturbante, sia che lo intendiamo come sostantivo che se lo consideriamo un aggettivo, è sempre, invece, irregolare, qualcosa che irrompe (e sconvolge) un ordine. Questo contrasto, riferito alla differenza sessuale, ne fa un paradosso?

Paradigma e perturbante sono concetti contrastanti, volutamente messi insieme. La parola paradigma rimanda al senso antico del termine e non al senso moderno legato a un insieme di regole metodologiche: paradigma era un archetipo, un esempio, qualcosa che indicava, mostrava. Platone parlava degli archetipi come realtà ideali, concepiti come eterni modelli delle passeggere realtà sensibili. Qui invece li si lega alla concretezza dei corpi e al loro legame con il divenire dove la differenza sessuale resta perturbante, un nodo che difficilmente si scioglie o si guarda per ciò che è, al di là di tutte le sovrastrutture che nel corso della storia si sono sedimentate sulla differenza sessuale stessa, irrigidendone i caratteri che invece sono transeunti, cangianti e mutevoli.

Duroux non separava vita/biografia e politica, così come Sarah Kofman non separava vita/biografia e filosofia. Entrambe, però, erano donne degli anni Settanta, e vivevano in modo molto pressante la necessità di affermare un pensiero autonomo in un mondo, politico o accademico, molto più fallocratico di quello attuale. Che cosa è cambiato, oggi, per una donna che fa filosofia?

Per una donna che oggi fa filosofia è molto più complesso perché complessa è l’epoca in cui viviamo, con l’insorgere di tante cose nuove che è necessario affrontare tenendo conto di tutti quanti gli aspetti. Rispetto al femminismo degli inizi, oggi ci si trova con un femminismo consolidato che è contrastato dai vari transfemminismi che hanno idee e posizionamenti diversi. Fare filosofia oggi e in particolare una filosofia femminista significa avere uno sguardo ampio sulla contemporaneità, sulla necessità di portare giustizia in tutti gli ambiti e per tutti gli esseri umani e, però, senza rinunciare alla soggettività femminile in quanto tale. Ecco, questa è una sfida molto importante: piuttosto che riandare in un neutro, lavorare alla moltiplicazione delle soggettività ancorandosi a quella che è la loro storia, i loro percorso. Andare verso una moltiplicazione più che in una direzione di neutralità che cancella ancora una volta la soggettività femminile nel suo aspetto ancora non conosciuto, non pienamente dispiegato.

Scrivi, nel tuo saggio, di un’iniziale associazione intuitiva fatta tra Françoise Duroux e Angela Putino. Un’intuizione che poi hai approfondito scoprendo molti punti di contatto tra le loro posizioni e con il pensiero di Virginia Woolf. Li puoi accennare?

Il pensiero di Virginia Woolf è fondamentale nel percorso teorico e femminista di Françoise Duroux (e anche di Angela Putino) che le dedica anche un libro. Ciò che Duroux apprezza in particolare è di aver visto il pericolo di un’inclusione che schiaccia ancora una volta le donne in una soggettività costruita da altri. Duroux critica il modello che le società moderne propongono riferendosi alla società delle estranee di Woolf, o all’inclusa/esclusa di cui parla un’altra autrice, Nicole Loraux. È qui il passaggio, per lei, dal patriarcato a una società fallocentrica. Occorre quindi essere vigili, essere sentinelle su questo. Virginia Woolf è una donna che ci dà tutti gli strumenti per poter vedere chiaramente questo imbroglio e per andare alla ricerca della nostra soggettività, al di là dei modelli imposti dalla modernità che sembrano tanto inclusivi e che invece sono un’ulteriore trappola per le donne.

Françoise Duroux rimarca nei suoi scritti la distanza da un femminismo che, soprattutto in Francia, ha fatto leva sull’emancipazione e sulla parità di diritti e salari. Qual è il principale punto di distanza tra il femminismo di Duroux e quello che ha puntato tutto sulla parità?

Françoise Duroux è una pensatrice della differenza sessuale che dà un taglio molto particolare a tale differenza. Ecco perché ho segnalato la vicinanza con il pensiero di Angela Putino. Per loro la differenza non è una differenza pensata in una forma essenzialistica, né fondata da rapporti sociali oggettivi, ma simbolica, fondata dall’immaginario e dal fantasma. La sua è stata una posizione “marginale” che però le ha consentito di restare indipendente dal punto di vista del pensiero. Quello che le interessava era partire da una posizione femminista di guerriera, non di vittima. È a partire dalle singolarità che si può avere quella rivoluzione simbolica e dell’immaginario che Françoise Duroux auspicava. Non bisogna dimenticare, inoltre, che lei prende da Freud l’idea che la libido sia una, che non ci siano due libido e che le forme che la soggettività incarna, a partire dalla storia vissuta, possono dare luogo a infinite variazioni. Una soggettività libera, desiderante e potente che va a sparigliare le carte dei sistemi che invece incasellano le soggettività e le loro forme. In questo senso è molto interessante la sua passione per la danza, una passione anche teorica. Nelle infinite posture che il corpo può assumere nei passi di danza, Françoise vedeva il dislocarsi di posizionamenti diversi, possibili, per le soggettività a partire dal loro vissuto concreto e reale.

Alcune femministe evocano la condizione delle donne nere, delle migranti, insomma altre subalternità, e le considerano punti privilegiati per contestare l’ordine globale del capitale neoliberale. In questo libro, invece, c’è un richiamo molto forte alla singolarità dell’esperienza della differenza, che non si può ridurre a un “insieme”. C’è un rischio che l’insieme renda insignificante la potenza della differenza?

Per Françoise Duroux, e qui c’è l’elemento di distanza con i femminismi che appiattiscono la differenza sessuale sulla questione sociale o di mero costrutto sociale: la differenza sessuale affonda nella dimensione antropologica e psico-fisica, e in questo senso è archetipica. La psicoanalisi è un’arma che Françoise Duroux usa, accogliendo di Freud alcune cose e altre no. È un po’ la stessa cosa che fa, da questo punto di vista, Sarah Kofman. (ndr: a Sarah Kofman è dedicato il seminario che Tarantino terrà all’Istituto per gli Studi filosofici di Napoli il 16, 17 e 18 maggio).

Di questo libro, sei curatrice ma anche una delle traduttrici. Come è stata l’esperienza della traduzione di un linguaggio così contemporaneo, polemico e provocatorio di Duroux?

Il linguaggio di Duroux è molto complesso, come dice Mireille Azzoug nella sua introduzione. Passa da un linguaggio molto forbito a un linguaggio molto più popolare, se non addirittura volgare. È stato quindi difficile restituire pienamente il significato delle sue parole e su questo è stato di grande aiuto il confronto con le mie amiche francofone e non solo. Ma come esperienza di traduzione è stato un viaggio bellissimo, un’esperienza di immersione totale nel pensiero e nella voce di Françoise Duroux.