Questa nuova guerra ci lascia sgomente e non è facile trovare parole per dire sentimenti e convinzioni di pace anche se la nostra associazione ha una lunga storia di riflessione e di azione.

In questi giorni abbiamo letto e ascoltato molto cercando di trovare parole da condividere con voi.

Sentiamo di riconoscerci pienamente nel documento scritto dalle donne di Bergamo che vi trasmettiamo.

Un documento che non parte da un’associazione chiedendo adesione e non è nemmeno frutto di mediazioni tra associazioni ma nato dall’incontro tra donne e parole, che ognuna sottoscrive specificando professione, associazione, istituzione d’appartenenza, esponendo se stessa prima del proprio ruolo.

Come donne, quindi, vi invitiamo a sottoscriverlo e diffonderlo conservando lo stesso stile politico  di adesione.

Potete inviare le vostre firme qui:
https://forms.gle/D7y3AicbJiDk4mpR8

IL DOCUMENTO DELLE DONNE DI BERGAMO

GUERRE DA FERMARE
UNA PACE DA ABITARE
Siamo donne delle istituzioni e delle associazioni, di partito e senza partito, di fede e senza fedi,
vogliamo essere donne con il cuore multicolore e i piedi per terra.
Abbiamo pensieri e storie diverse ma oggi l’unico pensiero è per la pace, contro la guerra, le armi e
ogni forma di aggressione.
Il territorio di Bergamo è diventato drammaticamente famoso nei due anni di pandemia e noi donne
sappiamo quanto è costato far fronte all’emergenza: di colpo è stato visibile ed evidente come i lavori
della cura e della relazione siano centrali e indispensabili. Bergamo è la provincia del volontariato,
che sappiamo essere a maggioranza femminile, e le pratiche di solidarietà e di accoglienza di profughe
e profughi sono già attive.
Ma non vogliamo che le donne vengano considerate ancora una volta come le “crocerossine” del
mondo, come coloro che si limitano a cercare di curare le ferite delle tragedie.
Siamo confuse, arrabbiate, impotenti di fronte all’aggressione violenta di Putin, all’esibizione di un
potere maschile che vuole cancellare democrazia, libertà, autonomia.
Non vogliamo però che questi sentimenti ci lascino “senza parole”: le nostre emozioni e le nostre
riflessioni camminano insieme, i pensieri e le pratiche si radicano nei nostri corpi e nelle nostre
esperienze.
Per questo non vogliamo che ancora una volta immagini di donne, bambini e bambine vengano
“usate” per travolgere con un’emotività di superficie le nostre capacità di pensiero critico.
Critico nei confronti di chi accusa pacifiste e pacifisti di coltivare ideali illusori e buoni sentimenti
che non fanno i conti con la dura realtà e con la storia: è proprio dalla lettura della storia dei conflitti
anche recenti, che abbiamo imparato che la guerra non si contrasta con le armi e la violenza. L’Italia
e l’Europa hanno abbattuto il tabù dell’invio di armi offensive a Paesi belligeranti: noi pensiamo che
questo “tabù” vada salvaguardato e che vada perseguito con ogni mezzo il tentativo di dialogo e
mediazione. Non pensiamo sia necessario assumere la logica della guerra e della violenza per essere
dalla parte di donne e uomini ucraini.
Quando parlano le armi le donne vengono cancellate.
Quando parlano le armi le donne vengono costrette a dimenticare la propria storia personale e
collettiva e arruolate nello stato di necessità.
Viene cancellata la storia politica che ha chiesto diritti senza esclusioni, che ha mutato le relazioni
umane senza dichiarare nemici, che ha saputo agire pratiche di pace anche in guerra.
Noi sappiamo che le armi sono il problema (anche quelle che da sempre vengono vendute con enormi
profitti e acquistate dagli Stati con enorme spreco di risorse) e il nazionalismo non è la soluzione.
Lavorare per la pace significa avere il coraggio del disarmo e inventare possibilità di dialogo che
fermino ogni aggressione.
L’azione nonviolenta a favore della pace in ogni territorio richiede la capacità di trovare parole
convincenti, passi decisivi, condivisioni concrete e fattive.
Non confondiamo popoli e governi, non confondiamo condizioni e vissuti; le minacce, le bombe che
cadono sulla tua casa, le armi puntate, costringono a scelte difficili: sosteniamo le donne russe e
ucraine che hanno il coraggio di parlare contro la guerra rischiando in prima persona, così come
sappiamo aprire le nostre case per accogliere chi fugge dalla guerra senza fare distinzioni.
La democrazia italiana è nata nei lager, nelle carceri, al confino, in esilio, sulle montagne e nelle
campagne, nelle fabbriche e nelle case dove un popolo disperso di donne e uomini ha trovato le radici
del proprio essere nella storia, scegliendo quella democrazia che oggi ancora garantisce la nostra
cittadinanza.
Noi possiamo lavorare perché l’Europa si dichiari continente neutrale cominciando da ogni singolo
Stato.
L’art. 11 della Costituzione afferma che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali: questo ci sostiene nella richiesta di immediate azioni diplomatiche e ci
impegna ad avviare un confronto partecipato su che cosa significhi costruire un ordine fondato sulla
sovranità disarmata.
Ricordiamo che dall’Europa è partito il colonialismo e la ricchezza europea si è costruita con
l’imperialismo, ma in Europa è cresciuto anche il sogno di libertà, uguaglianza e giustizia che ha
alimentato la nascita della democrazia.
Oggi la guerra è, come sempre, lo strumento per la ridefinizione dei poteri e l’appropriazione delle
risorse: per questo le donne, ancora considerate risorsa, vengono zittite e arruolate in una rinnovata
subalternità.
Oggi ci sono tra noi donne che hanno responsabilità e potere di decisione. Siamo donne che sanno
operare scelte e vogliamo fare la differenza.
È tempo di cominciare un’altra storia, quella in cui la parola guerra diventa termine arcaico di un
linguaggio caduto in disuso.
Oggi rivendichiamo la pace, vogliamo che sia attuata ogni pratica di risoluzione dei conflitti, che si
percorra ogni mediazione che salvi vite e territori.
Non è un cammino già tracciato ma ogni strada si fa camminando insieme.
BERGAMO, 2 marzo 2022