Intervista sul canale YouTube dell’associazione a Antonella Penati, madre del piccolo Federico Barakat ucciso con 37 coltellate e morto dissanguato in 50 minuti, durante l’obbligatorio “incontro protetto” con il padre.

Antonella Penati si definisce “non una vittima ma una sopravvissuta. Fino a oggi nessuno è stato ritenuto responsabile del delitto di Federico sebbene mio figlio si trovasse in un ambiente ‘protetto’, mentre era sotto la custodia dello Stato. Eppure, tutte le autorità coinvolte, pubbliche e private, erano a conoscenza della pericolosità dell’uomo, date le mie dieci precedenti denunce”.

Nella sua costante richiesta di giustizia, non di vendetta, ha fondato l’Associazione “Federico nel cuore” (Odv, 2016) e, dal tragico 25 febbraio 2009, si è mossa a tutti i livelli processuali e mediatici. Il suo avvocato e vicepresidente, Federico Sinicato (vice presidente) – noto difensore delle vittime di stragi anni ’70 (Piazza Fontana, Via Fatebenebratelli, Piazza della Loggia) – ha avuto un momento di smarrimento davanti alle due paginette, su 60, di valutazione emesse dalla Corte di Strasburgo cui si era rivolto dopo l’assoluzione dei servizi sociali in Italia. Ancora una volta, la domanda principale è stata elusa e non riguarda solo Federico Barakat ma tutte le vittime di figlicidio ma il diritto costituzionale alla vita – da cui discendono tutti gli altri – esteso ai/alle minori: lo Stato italiano li/le protegge, ne previene i pericoli, quando obbliga a un “incontro protetto”, prelevandoli/e obbligatoriamente da scuola o da casa? Chi risponde delle violenze che potrebbero avvenire, in assenza del genitore affidatario/a? Nessuno. Questo s’evince dai processi italiani ed è ribadito da Strasburgo, poiché “ai servizi sociali compete solo un compito di facilitazione dell’incontro”, mentre è sottolineata la velocità dell’iter processuale sul caso Barakat (il padre si è suicidato in carcere), e la documentazione presentata alla Corte europea.

Il vuoto di responsabilità, il vulnus della mancata responsabilità dei facenti funzione è materia del DDL 91 che da oltre un decennio staziona, variamente ostacolato, in Parlamento dove chi se ne occupò in primis fu la senatrice Valeria Valente (Pd). “Il DDL 91 è un progetto trasversale che chiede l’assunzione di responsabilità a chi, per conto dello Stato, ha in un determinato periodo di tempo, obbligatorio, un/una minore” sottolinea VITTORIA TOLA (Segretaria UDI Nazionale), ” I figlicidi sono ad oggi 535 in un Paese che parla tanto di maternità e inverno demografico. La violenza estrema sui minori è uno degli aspetti più efferati del femminicidio perché al togliere una vita accompagna la condanna della madre (quasi sempre sono i padri ad uccidere), a soffrirne per sempre. Vendicarsi su un figlio è un tratto della cultura maschile patriarcale da tempo risaputo e denunciato ma che non giustifica lentezze e resistenze in chi legifera.

Queste tragedie ci interrogano sulla genitorialità obbligatoria, che da una parte è una conquista di civiltà ma che viene stravolta quando non serve a salvare i/le minori da ciò che si può prevedere, come il comportamento di un genitore già denunciato più volte. Antonella Penati aveva denunciato il suo ex, violento e abusante, ed era stata trattata come poco credibile, assillante, inadeguata. “Nell’evento al Senato del gennaio ’24, sono state presentate due iniziative in corso: la raccolta di firme a sostegno del DDL 91 su CHANGE.ORG “DDL 91 subito.it”, contante già 60.000 firme; la LETTERA ai COMUNI ITALIANI per alzare l’attenzione nazionale sui figlicidi e sulla urgenza di colmare il vuoto legislativo.

“Federico era un bambino bello e dolcissimo, che amava il suo cane Roy, amava disegnare e i colori ed è stato massacrato, lasciato senza aiuto. Penso che chi ha ostacolato in questi tanti anni il DDL 91 non lo abbia neanche letto!” conclude Antonella Penati.

Info: presidente@federiconelcuore.org

NDR: Aggiorniamo con la notizia che in questi giorni, il “Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne” (Cedaw), adottata dall’Onu nel 1979, giuridicamente vincolante a livello internazionale in materia di diritti delle donne, ha ritenuto ammissibile la denuncia della mamma di Federico Barakat contro lo Stato italiano per non aver tutelato lei né protetto il figlio dall’omicidio.