Come nasce il sogno d’amore di Lea Melandri è stato pubblicato per la prima volta nel 1988 (da Rizzoli), ripubblicato nel 2002 (da Bollati Boringhieri), e di nuovo, oggi (2023), da Fernandel, nella collana “Le tre ghinee”.

Nella sua parte più cospicua, il libro conduce una lettura attenta dell’opera e della biografia di Sibilla Aleramo. Nel metodo e nei contenuti, sono molto presenti la pratica politica che negli anni ‘70 e ‘80 ha visto protagonista Melandri, nei gruppi di autocoscienza e in quelli di pratica dell’inconscio che hanno accompagnato l’esperienza della rivista “L’erba voglio” (1971 – 1977).

Sicuramente il periodico ritorno di interesse su Come nasce il sogno d’amore è motivato dalla circostanza che Lea Melandri è “una delle figure più significative e autorevoli del femminismo italiano” (vd. nota biografica che accompagna il libro).

Ma il valore “storico” di questa pubblicazione non esaurisce i motivi di interesse che essa ancora racchiude. Innanzitutto perché resta uno dei più significativi tentativi di sciogliere un nodo problematico ancora attuale: c’è nelle donne, dice Melandri, una tenace resistenza ad affermare l’individualità femminile superando i modelli e le rappresentazioni fantastiche che sono stati loro proposti/imposti storicamente. Inoltre, uno dei fulcri del testo è una riflessione approfondita sul tema del materno, sulle sue contraddizioni, in particolare: la maternità è contemporaneamente la principale manifestazione dell’onnipotenza femminile e lo strumento specifico della cancellazione del desiderio femminile. Una riflessione profonda sul materno sarebbe ancora tanto necessaria oggi, in un tempo segnato da aspre divisioni, ad esempio sulla gestazione per altri.

Sul primo aspetto, quello della mancata costruzione dell’individualità femminile, Sibilla Aleramo fu molto esplicita. In Diario di una donna, il testo scritto dal 1945 al 1960, dice: “Le donne si affannano per dimostrarsi uguali all’uomo … E neanche ora, dopo l’infelice risultato, balena in mente alle donne questo sospetto: ‘Se si trattasse invece di somigliare a noi stesse? Se fosse tutto in noi da creare, da estrarre alla luce?’ Da qui bisognava partire e non si seppe. La donna non è mai stata una vera e propria individualità: o si è adattata a piacere all’uomo, non solo fisicamente ma anche moralmente, senza ascoltare i comandi del suo organismo e della sua psiche; o gli si è ribellata copiandolo, allontanandosi ancor più dalla conquista del suo io.”. (p. 134).

Il ”sogno d’amore”, cioè “il desiderio della fusione di due esseri in uno”, è la leva che Melandri utilizza per andare al fondo di questa contraddizione ritrovando negli scritti, ma anche nelle scelte di vita di Sibilla Aleramo, la messa in scena del “sogno” e delle sue conseguenze, che sono al tempo stesso dolorose e esaltanti. Il fulcro di questa dinamica mi sembra sia il materno: Sibilla Aleramo, con la sua vita e le sue parole, mette a nudo quanto le donne abbiano interiorizzato, e poi messo in discussione, la cultura millenaria, maschile, costruita sulla maternità che ha come presupposto l’identità tra donna e corpo capace di generare. Dice Melandri, nel capitolo che si intitola “Per la mestissima libertà”: “La sottomissione femminile, alimento necessario a un sogno di unità armoniosa con l’uomo, e quella che Freud chiama la ‘protesta virile’ delle donne sono state contrapposte secondo una logica dualistica che è stata finora confusa con la diversità dei sessi. L’illusione di esistere attraverso un uomo e quella di essere l’uomo nascono da una stessa radice, che è il rifiuto del corpo femminile” (pp. 115 – 116). Inoltre: “L’amore per un uomo e l’amore per un figlio, a volte, non sono lontani quanto sembrano, percorsi da una richiesta e da un esito, che sono, sostanzialmente, gli stessi: crearsi una situazione di indispensabilità per avere la certezza di trovare nella vita dell’altro qualcosa che si pensa mancante nella propria; e poi, fuori dal sogno, accorgersi che al posto di un’unità armoniosa c’è una complementarietà lacerante, dove per avere bisogna perdere, per vivere lasciarsi morire” (pp. 112-113)

Il valore del libro di Melandri non è, dicevo prima, solo storico, utile a ricostruire la dialettica tra emancipazione e liberazione, tra libertà e autodeterminazione, tra desiderio e corpo, ecc. C’è ancora un altro aspetto sul quale ancora oggi è utile riflettere, quello della centralità della scrittura, sul quale Lea Melandri è tornata più volte nei suoi interventi spiegando il ruolo che la “scrittura di esperienza” e la “riscrittura” hanno avuto nel suo percorso, dai corsi delle “150 ore” destinati alle donne alla Libera Università delle donne di Milano (da lei fondata nel 1987, dopo i corsi delle 150 ore rivolte a donne), dai gruppi di autocoscienza a quelli di pratica dell’inconscio. Nel Sogno d’amore la centralità della scrittura si presenta subito, fin dalle prime pagine. “I racconti del gelo” sono un diario tenuto per aforismi, dal 27 gennaio al 17 marzo del 1982 in cui Melandri racconta di aver portato con sé, nei giorni del gelo (il gelo caratterizza i giorni dell’abbandono) il proprio taccuino, sul quale scrivere anche nelle situazioni più impensate, come alle fermate dei semafori: “La mia scrittura si è fatta agile per seguirmi dovunque, e si è diradata per lasciarmi vivere” (p. 10). Sono moltissimi i luoghi del libro in cui, quasi sempre grazie alla scrittura, alla figura di Sibilla si accostano altre figure fondamentali per la libertà femminile, a cominciare da Virginia Wolf le cui riflessioni sulla “mente creativa” necessaria per scrivere sono spesso richiamate da Melandri.

A Sibilla Aleramo è dedicata la parte, quella più cospicua del libro, intitolata “Sibilla Aleramo. Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità”. Sono otto i capitoli che la compongono e in ogni capitolo Melandri intreccia un dialogo con la prima scrittrice “femminista” italiana alla ricerca di una risposta su che cosa sia veramente “il sogno d’amore” seguendone la biografia e gli scritti a partire da Una donna – che è del 1906 – fino a Diario di una donna, scritto dal 1945 al 1960, gli ultimi 15 anni.

Quella di Sibilla Aleramo è per Lea Melandri “un’esperienza singolare e comune” (p. 128) segnata dalla tensione costante verso il “sogno d’amore”, la fantasia di perfezione e armonia totale cercata nella coniugazione del maschile col femminile, vissuti come complementari, come ricongiungimento di forze opposte. Che la descrizione del “sogno” sia un’operazione complessa, non banale, risalta dalle pagine che Melandri dedica all’innamoramento di Sibilla Aleramo per Lina Poletti. Sono differenti, dice Sibilla, l’amore e l’innamoramento. Per lei, il sogno d’amore è strettamente legato al “potere fecondante” dell’uomo, la sua assenza è “sterilità” e “nulla” (p. 67). Ma l’innamoramento di Sibilla per Lina mostra, di contro, qualcosa, una scoperta decisiva: l’incontro con Lina resta a significare “una deroga, sia pure breve, al misticismo amoroso di Sibilla, alla sua faticosa ricerca di fusione e di unità assoluta. Il corpo dell’altra donna e la sua personalità, così diversa, non si lasciano assimilare, stanno di fronte e vogliono essere guardati” (p. 68). L’amore per una donna “conduce, sia pure per un tempo unico e breve, fuori dal sogno e più vicino alla realtà dell’essere femminile” (p. 64).

Anche il mito dell’androgino, che una cultura millenaria ha posto al centro del proprio pensiero sull’amore, è un mito maschile, per motivazione e natura: non è altro che la proiezione dell’uomo nel futuro, dopo l’assorbimento in sé del femminile, assorbimento che è avvenuto con il sacrificio delle donne e la cancellazione della differenza dei sessi.

Nella seconda parte del libro, in una sezione intitolata “Il lungo sonno e la vita”, Melandri esplora altri temi, comunque legati alla riflessione sul femminile: il mito dell’uomo “autentico” nello Zarathustra di Nietzsche; il nodo della “dipendenza” affettiva attraverso il pensiero di Carlo Michelstaedter – filosofo e letterato goriziano morto suicida, a 23 anni, nel 1910 –; infine, l’incrocio tra destino biologico e principio di civiltà che la donna rappresenta nell’impostazione dell’antropologia di Paolo Mantegazza e in Freud, per il quale “che cosa sia una donna” resta “un enigma”. In Appendice, infine, è pubblicato l’articolo di Alberto Asor Rosa intitolato “Interrogando Sibilla”, articolo del 1988 – poi ripubblicato in Un altro Novecento (1999) – che, proprio nelle prime righe, richiama la “singolarità” di Come nasce il sogno d’amore riconoscendo al libro il carattere proprio di “una riflessione sulla scrittura”.

Lea Melandri, Come nasce il sogno d’amore, Fernandel, 2023