Voci e percorsi del femminismo nelle riviste delle donne (1870-1970) è il titolo del n. 26 della rivista «Laboratoire Italien», storico impegno dell’Università di Lione. Pur se la rivista, com’è nel suo programma, è specifica per l’area italiana, l’ottica offerta dà prospettive generalizzabili sulla storia delle donne tra il secondo Ottocento e gli anni ’70 del secolo scorso, con spunti anche sull’attualità.

La storia del movimento delle donne, si afferma nel numero che analizziamo, è parte integrante delle rispettive storie nazionali, ma anche tout-court parte della storia politico-culturale dell’Occidente. Nell’orizzonte italiano si nota come sia nel complesso ancora lenta l’integrazione della storia delle donne e del femminismo negli spazi accademici e nelle istituzioni culturali, pur nella ricchezza degli studi esistenti: acquisisce spazio specifico da qualche decennio, da quando il termine “nazione” accerta uno spostamento di senso, così da lasciare la connotazione di “collettività che compete in armi” per enfatizzare il significato di specificità che si apre in cerca di collegamenti, confronti e solidarietà. E come historia, anche la storia del femminismo vale tela, arazzo, da affidare a “tessitrici e tessitori” al cui fianco vigila la comunità: un po’ come accadeva con Penelope, talora disfacendo e correggendo, e anche allargando parti.

In questo senso le curatrici del numero (Laura Fournier-Finocchiaro, Liviana Gazzetta e Barbara Meazzi) assegnano il bandolo della traccia da seguire alla “voce” implicitamente politica delle donne che viene espressa fondando riviste. Nel caso, sette storiche ‒ Liviana Gazzetta, Graziella Gaballo, Tiziana Pironi, Fiorenza Taricone, Barbara Meazzi, Valeria Iaconis ‒ presentano ciascuna il progetto di una testata creata da donne, in un arco, discontinuo a seconda della durata delle riviste, che va dal 1866 al 1926. Il numero è poi arricchito da altri interventi, anche come ponte verso la seconda parte dell’esplorazione (un successivo numero di ‘Laboratoire Italien’), che riguarderà il periodo dal 1970 alla contemporaneità.

Esiste peraltro una reale difficoltà di accordarsi sulle categorie, quindi sul linguaggio, in cui inquadrare la narrazione. È questo, in particolare, il terreno esplorato nell’introduzione, ma già il titolo avverte della soluzione giudicata appropriata: la scelta, cioè, del termine “femminismo”, contro il divieto che alcune/i hanno opposto, optando per “emancipazionismo” per il periodo anteriore agli anni Settanta del Novecento. Eppure il termine “femminismo” era impiegato nelle pubblicazioni delle donne già dagli anni Novanta dell’800, anche in Italia. Guardavano al femminismo internazionale quasi per supplenza «in mancanza di realtà associative» in cui confrontarsi, dice l’autrice del primo saggio, Liviana Gazzetta. Certo era impiegato anche l’altro termine, quello di emancipazionismo, che richiamava la lotta abolizionista della schiavitù; fino a quando il movimento delle donne non ha esplicitamente contestato il fondamento patriarcale delle società, il termine ha avuto successo «per esempio nei giornali dell’area socialista, anarchica e comunista», come precisa la nota studiosa Françoise Collin. 

Ne esce in sostanza un quadro variegato di elaborazioni e presenze espresse grazie alle riviste, un quadro in cui il primo movimento delle donne di fatto rappresenta il principale termine di confronto, anche quando alcune voci e correnti se ne volevano distanziare: questo attesta quanto in profondità il femminismo abbia segnato la vita collettiva.