Quanto accaduto il mese scorso a Palermo è di una gravità inaudita. Alla ripugnanza del fatto, si aggiunge il senso di repulsione nell’apprendere che il video, già caricato sul web ma ancora non visibile, ha alimentato una “fila” di decine di migliaia di guardoni che aspettano il filmato della lurida vicenda.

C’è assoluta mancanza di consapevolezza della drammaticità del delitto, assenza di empatia nei riguardi della vittima, e addirittura una ricerca di elementi negativi a suo carico per ridurre la responsabilità degli abusanti. A creare sconcerto, si aggiunge il fatto che, in un primo tempo, uno degli stupratori, tutti giovanissimi, lui minorenne, è stato rilasciato su parere del gip, come “premio”, per aver confessato il fatto, peraltro del tutto evidente.

Nei giorni successivi, a Caivano, l’altro episodio di violenza di gruppo da parte di minorenni su due ragazzine di dieci e tredici anni. La dinamica è diversa, ma, anche qui, video che girano nelle chat.

Insomma, la violenza non solo viene ferocemente attuata, ma viene anche “socializzata”, e la vittima esibita come trofeo, da usare, maltrattare e calpestare. Sono atti connotati da assoluto vuoto di umanità, da profonda l’anaffettività, e, soprattutto, dal considerare la sessualità come rozzo strumento di potere, addirittura come comportamento “figo” di cui vantarsi sul web. Il nodo sembra essere costituito dall’ancestrale volontà di esercitare potere brutale contro la donna, e dal voler ripristinare ruoli di marcata disuguaglianza tra i generi. E questo accade, ancor oggi, dopo decenni di lotte dei movimenti femminili e femministi, e accesi dibattiti nelle aule parlamentari e nella società civile.

Il legislatore deve cercare di tutelare le donne, non soltanto ex post, ma soprattutto ex ante. Accade? Ricordiamo, qui, l’iter parlamentare. Nel 1996 è stata approvata la legge n. 66 recante “Norme contro la violenza sessuale”. La legge, nonostante la sua urgenza, ha subito un iter travagliatissimo da quando, nel 1976 – l’anno in cui si concluse il processo per il massacro del Circeo che infiammò le pagine dei giornali e l’opinione pubblica- la deputata siciliana Angela Bottari iniziò la stesura del testo. La proposta, presentata nel ’77, aveva tra i suoi punti qualificanti una definizione di violenza sessuale che annullava le “gradualità” del reato, e dunque eliminava ab imo quei cavilli giuridici che, in sede processuale, consentono di ridurre la gravità del crimine a vantaggio dei colpevoli. La proposta, però, incontrò ostacoli, perché intendeva incidere in modo radicale su una mentalità che non concedeva capacità di autodeterminazione alle donne. Grande nodo gordiano. Subì, dunque, un periodo di stasi parlamentare. Contemporaneamente, però, attorno alla problematica, si sviluppò il movimento di liberazione delle donne, si aprirono le librerie delle donne, nacquero gruppi e collettivi femministi, tra cui quello famosissimo del Governo Vecchio. Il dibattito, dai luoghi della politica si spostava a quelli della società civile. A sostegno della lotta, il filmato “Processo per stupro” evidenziava come la fase dibattimentale fosse fortemente lesiva della dignità e della personalità della vittima, in quanto tendeva a verificare più il comportamento della donna che gli atti compiuti dai violentatori. I dibattiti procedevano infuocati in tutto il paese, vedevano coinvolte le donne dei partiti e dei movimenti, i giuristi e le giuriste, e sollevavano temi come la costituzione di parte civile nei processi da parte delle associazioni e dei movimenti delle donne, e la perseguibilità d’ufficio di tali reati. Sulla scorta di tanto fermento sociale, tra la fine del 1979 e i primi mesi del 1980 tutti i gruppi parlamentari presentarono proposte di legge. Bottari venne incaricata di unificarle. La scommessa era grande: il Parlamento italiano era il primo in Europa che cercava di affrontare il tema in termini ampi, vista la prospettiva di poter dare vita a una legislazione innovativa, che assumesse le ragioni delle donne in materia di libertà. Il testo unificato venne approvato – a maggioranza – dalla Commissione alla fine del 1982, e fu inviato all’Aula. La discussione iniziò a gennaio 1983. Fu subito preso di mira l’articolo 1, che considerava lo stupro come reato contro la persona, e non contro la morale, come già normato nei Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume e come riproposto con l’emendamento Casini. La riaffermazione di ciò avrebbe vanificato le lotte condotte in quegli anni dalle donne per l’affermazione di una cultura che mettesse in discussione rapporti di potere consolidati che vedevano la donna subalterna all’uomo. Gli equilibri parlamentari portarono, però, all’approvazione dell’emendamento Casini: 237 voti favorevoli e 220 contrari, tra le urla delle donne presenti nella tribuna del pubblico che srotolarono uno striscione con la scritta “Io donna io persona”. Visti i risultati della votazione, Bottari dichiarò le proprie dimissioni da relatrice di una proposta ormai completamente snaturata. Il gesto, del tutto coerente, costò alla deputata l’accusa da parte del PCI – il suo partito – di aver mantenuto un comportamento estremista e radicalizzante. Dunque, lo scontro tra vecchio e nuovo rimaneva zoccolo duro anche all’interno di questo partito. Rieletta nel 1983, Bottari ripresentò la stessa legge. Riprese l’iter parlamentare, Che onorò la barba di Matusalemme: l’approvazione definitiva arrivò ben tredici anni dopo, nel 1996, Bottari ormai fuori dal Parlamento. Nella legge (ora Finocchiaro-Mussolini), diversamente da quanto contenuto nella prima proposta, fu introdotto il concetto di “minore entità” del reato di violenza sessuale: ciò ha portato (rispetto alle precedenti proposte) a una diversificazione qualitativa della violenza che, in sede di giudizio, consente, oltre alla discrezionalità dei giudici, anche i funambolismi degli avvocati difensori. E sentenze così tanto discusse dall’opinione pubblica.

Nel 2013, mentre continuava la mattanza nei riguardi delle donne, arrivò la legge contro il femminicidio: una legge che intende l’uccisione di una donna da parte di un uomo come omicidio, tout court, alla stregua di qualsiasi altra uccisione. Insomma, fu azzerato quel sostanziale mutamento della mentalità – nella considerazione del problema – auspicato da Bottari e da tutto il movimento femminile e femminista, nonostante ancor oggi, il nodo sembra essere proprio quello.

Successivamente, nel 2019, nel 2021, e nel 2023 (disegno di legge) il legislatore è intervenuto nuovamente sulla questione, introducendo la procedura d’urgenza e inasprendo l’aspetto penale. Adesso il ministro della pubblica istruzione, sull’onda dell’enorme sdegno pubblico seguito ai fatti di Palermo, sta progettando interventi nelle scuole. Bene. Non è chiaro ancora cosa sarà fatto per costruire tasselli significativi a favore della necessaria consapevolezza culturale del problema. Sicuramente, occorre incidere in modo critico sulla mentalità con interventi mirati e adeguatamente progettati e attuati. Peraltro, non dimentichiamo che la scuola non è l’unica agenzia formativa: la famiglia rimane decisivo baluardo nell’educazione dei giovani, quando veicoli i valori del rispetto interpersonale, del dialogo, dell’empatia.