Dietro la brutalità degli stupri di guerra non c’è solo la volontà di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna, che caratterizza gli stupri in generale. C’è qualcosa di più” ha scritto oggi Linda Laura Sabbadini, direttora dell’Istat, commentando, su “la Repubblica”, le notizie che arrivano dall’Ucraina invasa dall’esercito russo.

Penso che l’articolo di Sabbadini sia da segnalare perché contiene la lucida constatazione di una verità che agli occhi delle donne è ben presente, e cioè che i corpi delle donne violate sono “campo di guerra”. Non sono solo “il bottino” che gli invasori si prendono, non sono solo lo strumento di operazioni di pulizia etnica, ma sono l’arma usata per annientare le donne e un’intera comunità.

Sabbadini fa un lungo elenco di stupri di guerra: le donne yazidi schiave sessuali di Isis Daesh, le nigeriane rapite da Boko Aram, le donne in Darfur, oltre che la ex Jugoslavia, il Ruanda, la Sierra Leone, la Liberia, l’Algeria subito dopo la seconda guerra mondiale. L’elenco, dice Sabbadini, è infinito e “arriva anche agli stupri commessi contro le donne italiane a Sant’Anna di Stazzema, terribile pagina di orrore da parte dell’esercito francese, conosciuto con il termine ‘marocchinate’ e passato fin troppo sotto silenzio.”

Ma ci è voluto del tempo perché gli stupri di guerra fossero riconosciuti come crimini. Così come le donne italiane hanno dovuto aspettare gli anni Novanta perché lo stupro fosse considerato un crimine contro la persona e non contro la morale, così solo in quegli anni, e dopo la guerra in Bosnia, lo stupro è stato riconosciuto come crimine di guerra.

Era stato ignorato come crimine di guerra “persino al Tribunale di Norimberga e di Tokio”. È solo dopo le atrocità in Bosnia che la situazione è cambiata.

Lo stupro è un crimine di guerra. I responsabili di questa atrocità dovranno risponderne” conclude Sabbadini.