Continua il viaggio – un atto di resistenza per fare rivivere oltre il fumo nero delle bombe sganciate dall’alto e dei copertoni bruciati dal basso per oscurare il cielo – tra le poetesse siriane, alle quali si affiancano le libanesi e le palestinesi la cui poesia non è solo una scelta, né una modalità della produzione letteraria. “E’ l’urlo dei resistenti, è simbolo della lotta all’autoaffermazione”, come si legge sul sito NENA NEWS, agenzia stampa vicino oriente del 12 ottobre 2015. Poesia di rivolta, di liberazione che vuole intervenire sulla realtà per trasformarla.  Le poetesse scelte infatti sono parte attiva dei movimenti nazionalisti arabi degli anni Sessanta o sono impegnate in ONG, come la libanese Joumana Haddad, per la libertà di espressione nel Libano.

Le immagini sono opere dell’artista siriano Tamamm Azimm

Saniyya Salih (Mousiaf, costa occidentale della Siria, 1935-1985).

“Barche cieche”

Poiché le stanze desolate sono letti per la poesia
che uccide
Singhiozzo
Seccandomi come gli alberi.
Giorni immoti mentre le pietre
mandano il richiamo di barche cieche.

 “Cecchino”
Punta la pistola verso il mio cuore
Nel mio orecchio sussurra i tuoi proiettili come un amante.
Invano innalzo la mia angoscia verso il cielo
Fa che siano vuote
le strade fuorché per la mia voce e
la mia eco.

Joumana Haddad (Beirut, 6 dicembre 1970).

 “Io sono una donna”:

Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
Chi vedo quando chiudo gli occhi
Come vengo sospinta quando vengo sospinta
Cosa cerco quando lascio libere le mie mani.
Nessuno, nessuno sa
Quando ho fame, quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
nessuno sa che per me andare è ritornare,
e ritornare è indietreggiare
Che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
Ed io glielo lascio credere
E creo.

Hanno costruito per me una gabbia
affinché la mia libertà fosse una loro concessione
E ringraziassi e obbedissi
Ma io sono libera prima e dopo di loro, con e senza di loro
Sono libera nella vittoria e nella sconfitta
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della prigione è la loro lingua
tuttavia la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio desiderio
E al mio desiderio non impartiscono ordini.

Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
Ed io glielo lascio credere
E creo.

 

Fadwa Tuqan (Nablus, marzo 1917-dicembre 2003)

“Sospiri davanti allo sportello dei permessi” (dal sito NENA NEWS.it del 12 ottobre 2015)

Fermarmi sul ponte

Ahimè! Mendicare, sì, un permesso di attraversata!

Soffocare, perdere il fiato

Nel caldo del mezzodì

Sette ore di attesa

Ahi! Chi ha rotto le ali del tempo?

Chi ha paralizzato le gambe al giorno?

Il caldo mi flagella la fronte

Ed il sudore mi colma gli occhi di sale.

Ahimè! Migliaia di occhi

Sono fissi con calorosa ansia

Allo sportello dei permessi;

sono specchi di angoscia,

titoli di ansia e di pazienza.

Ahimè! Mendicare un permesso!

E la voce di un militante straniero

Scoppia furiosa come uno schiaffo

Sul volto della folla:

«Arabi…Disordine…Cani!…

Tornate indietro

Non venite vicino al cancello!

Indietro!…Cani!…»

Una mano sbatte con rabbia lo sportello dei permessi,

chiudendo ogni possibilità

in fronte alla folla che preme.

Umiliata la mia umanità,

pieno di amarezza il mio cuore

e il mio sangue è tutto veleno e fuco!

«Arabi! Disordine! Cani!»

O santa vendetta del mio popolo offeso!

Ormai ho solo da attendere,

ma il momento giungerà…

il momento della giustizia e della vendetta!

“Un attimo” (https://viadellebelledonne.wordpress.com, 8 febbraio 2008)

Desidero solo silenzio e quiete,
non parlarmi di cose del passato e del futuro
non parlarmi di ieri e non andare
all’indomani.
Questo attimo, per me,
non ha nè prima nè dopo
non ha più senso
ieri è scomparso quali echi e ombre
e l’ignoto domani si dilaga lontano
e non si vede più
sarà forse diverso di quanto han disegnato
le mani dai sogni tuoi e miei,
diverso di quanto desideriamo?
Questo attimo, e non altri tempi,
è un fiore che si apre nelle nostre mani:
senza frutti senza radici
ma è solo un fiore di spontanea bellezza,
teniamolo bene prima che si trappi,
amore mio!

La mia triste città” (da arabpress.eu del 13 febbraio 2015)

Il giorno in cui vedemmo la morte e il tradimento

l’alta marea si ritirò,

e finestre del cielo si chiusero

e la mia città perse il fiato.

Il giorno in cui si ritirarono le onde

e le bruttezze dei precipizi volsero il volto verso il sole,

s’infiammarono gli occhi della speranza

e la mia triste città

si soffocò di tormento.

Sparirono bimbi e canzoni,

non più ombre né più echi,

e la tristezza andava nuda in mezzo alla mia città

s’accovacciò come alte montagne,

come la notte, il silenzio tragico,

appesantito dalla morte e dalla sconfitta.

O mia triste e silenziosa città!

Così, nella stagione della mietitura

s’incendiano messe e frutti?

Ahimè! Che brutta fine del cammino!

Suheir Hammad (Amman, Giordania il 25 ottobre 1973. Vive negli Stati Uniti).
GAZA (dal sito www.Sagarana.net rivista letteraria n. 57 del ottobre 2014)
qui è successo un gran miracolo

un tripudio di luci

Operazione Piombo Fuso sui bimbi

un esercito banchettante si nutre di epifanie

non so niente sotto il sole dall’altra parte del muro

nessuno ne accenna

alcuni sono preposti a morire in coperte sintetiche dalle fantasie a fiori

senza che se ne diffonda notizia

Sono venuta all’Apocalisse quotidiana

una scala appoggiata lì senza cura

sei candele danno fuoco a una casa

un cavallo legato al fumo

certi devono morire per mandare un segnale

la linea piatta    streaming live    un fiume   una memoria più lunga della durata di una vita

i vivi vogliono morire nel loro paese

nessuna porta aperta nessun mare aperto

a mani piene di cuore

cinque figlie avvolte nei sudari

ogni giorno jihad

ogni giorno fede più forte della paura

ogni giorno lo specchio del fuoco

i vivi vogliono morire con le loro famiglie

la ragazza perde arti il fratello raccoglie braccia e armi

alcuni devono morire per non essere morti prima

corpi di bimbi sul pavimento dell’ospedale la mamma accanto

il padre traumatizzato questa è la mia famiglia

non li ho saputi proteggere questa è la mia famiglia

non gli ho fatto alzare la testa li ho seppelliti

la mia famiglia e adesso cosa faccio la mia famiglia è pane

un pesce un popolo tagliato a pezzetti

c’è sete    ruberie    vita

c’è fame  un inverno dentro l’inverno

alcuni devono morire per portare salvezza

io sono venuta per porre fine al tempo sempre presente

la donna ha perso i genitori i figli e urla

mia sorella   ho perso mia sorella voglio morire

gli occhi di mia sorella erano miele la sua voce la mia

non posso affrontare tutto questo solo dio   solo dio mia sorella

medici uccisi scuole colpite carovane bombardate

i feriti stanno morendo i morti sono sepolti in tre

ore la gente prega insieme e maledice la gente

piange a voce alta e bassa sempre troppo forte mai abbastanza

certi muoiono perché sono nelle vicinanze

altri muoiono perché così sta scritto

nessun esercito chiede scusa ha mai

chiesto scusa le autorità rincorrono le scartoffie

l’occupazione si sedimenta sempre più profonda

qui è successo un gran miracolo

i vivi stanno morendo e i morti vivendo

un tripudio di luci

una striscia una terra un incendio

il mare uno specchio di fuoco

Operazione Piombo Fuso sui bambini

le teste gli rotolano via dalle spalle per strada

come trottole che ruotano veloci nelle mani

un esercito banchetta nutrendosi di epifanie

trascinando il futuro verso la storia

le donne, non fan ardere d’amore, ma divengono fiaccole


Tammam Azzam è un artista siriano che vive e lavora a Dubai. Per denunciare la violenza del conflitto in Siria, ha realizzato una serie di opere innovative, suggestive e provocatorie, utilizzando strumenti molto diversi tra loro: pittura e grafica digitale.

Per Azzam la fotografia digitale e la street art sono strumenti di protesta potenti e diretti, molto difficili da censurare. Attraverso le sue opere, oltre a mostrare al mondo intero la realtà della situazione siriana, l’artista cerca di contribuire alla ricostruzione del suo Paese.

Siria/ Oltre il nerofumo, parole per resistere 2    di Gisella Modica   in Letterate Magazine, LM Home, Poesia |