Si è svolto online l’8 e il 9 aprile 2022 l’importante convegno “Professoresse di Filosofia. I primi cento anni (1922-2022)”, organizzato dalla Società Italiana delle Storiche (SIS) e dalla Società italiana per le donne in filosofia (Swip), per ricordare il centenario della prima cattedra di filosofia assegnata a una donna in Italia. L’incontro, di notevole densità per spunti metodologici, proposte epistemologiche e scoperte e riscoperte di italiane di grande spessore intellettuale, ha prodotto una tale ricchezza e complessità di questioni, in campo scientifico, politico, sociale, didattico, editoriale, che risulta difficile una sintesi che restituisca tutta la feconda problematicità degli argomenti affrontati.

Il Convegno si è aperto ricordando la Legge Casati del 1859, che abilitava le donne “a pari titolo degli uomini” all’esercizio di “tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici”, pur con importanti eccezioni, citate nella legge. Si apre a questo punto un campo di discussione per niente pacificato, nella società e nella politica italiane postunitarie; anzi, notevoli sono i dibattiti e i conflitti sull’opportunità o meno che le donne insegnino filosofia, fino a quando il Fascismo non interverrà violentemente a ridurre al grado zero la questione, impedendo, tra gli altri divieti, alle donne di accedere ai concorsi a cattedra per l’insegnamento della filosofia nei Licei. Nel 1922 però, prima delle leggi fascistissime e della riforma Gentile, fu proprio una donna a risultare la prima in graduatoria per la classe di concorso di filosofia nei licei: si trattava di Cecilia Dentice d’Accadia (1893-1981), che divenne poi anche la prima docente universitaria di filosofia nella storia del nostro paese. Da questo anniversario prende le mosse il convegno, che ha visto partecipare, oltre alle relatrici, numerose docenti universitarie e di scuola. L’intento delle promotrici è analizzare quel campo di discussione in una prospettiva di genere, guardando anche all’approccio e all’eredità lasciate dalle professoresse di filosofia di cui si ricordano e analizzano opere e vicende biografiche e lavorative: Maria Casalasco, Ada Lamacchia, Elena Dini Dall’Olio, Maria Adelaide Raschini, Laura Bianchini. I lavori del convegno sono infatti impostati in modo che le biografie delle protagoniste si intreccino con il loro pensiero e che la storia si intrecci con la filosofia, alternando interventi di storiche a quelli di filosofe, e dando luogo così a un ampliamento notevole della prospettiva di studio e di riflessione, a partire dalla comparazione tra le diverse fasi storiche e tra le diverse posizioni filosofiche.

La prima sessione, dopo i saluti delle organizzatrici Raffaella Sarti (Presidente SIS) e Marina Sbisà (Presidente SWIP), si è aperta con l’intervento di Simonetta Soldani (professoressa di storia contemporanea all’Università di Firenze), che ha sottolineato come la vicenda delle insegnanti di filosofia nel Regno d’Italia debba essere affrontata mettendola in relazione con contesti di lunga durata, dato che la legge Casati verrà di fatto smantellata dalla riforma Gentile del 1924. Importanti furono le esperienze di Emilia Foà, Rosa Piazza, Enrichetta Parodi, tutte impegnate ad abbattere le disuguaglianze nella scuola in mezzo a difficoltà di ogni genere. Quando nel 1907 comparve il nome di Clara Treves nella graduatoria del concorso a cattedra liceale, si corse ai ripari aggiungendo al regolamento un punto “bis”, per riservare ai soli uomini i concorsi nelle scuole maschili. È questo uno dei tanti avvenimenti che dicono quanto sia infondata l’idea di progresso quando si studia un processo storico che riguarda le donne e quanto la differenza di ruoli si giochi su un piano giuridico, laddove a prevalere sono schemi e pregiudizi culturali di genere.

La giornata è proseguita con Renata Battaglin e Chiara Simonato, docenti presso il Liceo Classico Statale Pigafetta di Vicenza, che hanno ricostruito storie e contesti di due professoresse di filosofia nei primi decenni del Novecento a Vicenza, e con Francesca Brezzi, docente di filosofia morale presso l’Università Roma Tre, la cui relazione ha insistito molto sulla figura e sul pensiero di Virginia Woolf, che, ne Le tre ghinee, aveva ben smascherato il funzionamento della società maschilista e al contempo ciò che le donne, a partire da sé, dalla loro differenza e dal loro margine, vedevano in essa. E proprio la questione della marginalità del pensiero delle donne è stata messa in evidenza dalla Brezzi, che ha chiamato in causa il difficile rapporto tra Women’s studies e accademia, tra studi di genere e scuola.

Bellissime le testimonianze documentarie, anche fotografiche, raccolte ed esposte nei successivi interventi della giornata, che, oltre a far emergere figure esemplari di intellettuali e docenti, hanno mostrato l’importanza della ricerca storico-archivistica per la storia delle donne, in vista, tra le altre cose, dell’inserimento di figure femminili nel Dizionario Biografico degli Italiani.

La seconda giornata si è aperta con il contributo di Adriana Cavarero, che ha voluto, in via eccezionale, aprire il suo discorso partendo da uno spunto autobiografico, quando nel 1968, iscritta al secondo anno di filosofia all’università, ebbe una supplenza annuale al Liceo. I sentimenti provati erano passione, un coinvolgimento poco spiegabile, ed estraneità, quella stessa estraneità così ben delineata da Virginia Woolf e che, secondo Cavarero, si articola in tre posizioni distinte: estraneità come “assenza semplice”, come dato di fatto nella storia della filosofia, dove le donne sono pressocché assenti, almeno fino al XX secolo; estraneità come iperpresenza stereotipica, nella quale le donne non possono riconoscersi. Ed infine estraneità rispetto all’universalismo astratto della filosofia la quale, nella ricerca di luoghi di fondamento astratti e universali giunge all’elaborazione di un soggetto senza corpo, senza singolarità, e dunque asessuato. Per affrontare questa triplice estraneità, Cavarero propone di ingaggiare un vero e proprio “corpo a corpo” con i testi filosofici, nell’intento di rovesciare e riscrivere lo schema universalistico anche attraverso la ricontestualizzazione delle figure femminili stereotipate della tradizione (Diotima, servetta di Tracia, Penelope…). Bisogna sforzarsi, secondo Cavarero, di pensare ciò che la tradizione riteneva impossibile, di andare a scovare i luoghi dove è emerso il femminile e attraverso questo stesso femminile, impensato e inquietante, tentare di creare un nuovo immaginario aperto e plurale. Per far ciò non è possibile ignorare la storia, ma bisogna nel contempo costruirsi categorie interpretative solide, poiché, appunto, la tradizione filosofica tende a celare o mistificare il pensiero femminile.

Il convegno è proseguito con l’intervento relativo alle pratiche di insegnamento del femminismo in carcere a cura di Carlotta Cossutta dell’Università del Piemonte Orientale ed Elisa Virgili, del Centro di ricerca Politesse, e si è chiuso con due indagini storiche, la prima di Liviana Gazzetta del Liceo scientifico Fermi di Padova sulla filosofia femminile nell’Italia fascista, l’altra di Daria Lucia Gabusi dell’Università di Benevento, sull’impegno educativo, politico e sociale di Laura Bianchini (1903-1983), docente di filosofia, antifascista e madre costituente.

Analizzare l’accesso alle donne alle cattedre di filosofia vuol dire cercare di comprendere il significato che ha avuto questo avvenimento per la condizione delle donne in quella particolare fase storica che è l’inizio del XX secolo in Europa e specificamente in Italia, e ugualmente tentare di scoprire cosa cambia quando la figura, essenziale in filosofia, del “maestro” diviene quella della “maestra”. Il convegno si presenta così come un giusto e atteso momento di confronto e di prima sistemazione di problemi, scritti, personalità, a partire da cui costituire l’eredità ideale e storica che serve per ripensare il canone filosofico e far uscire dall’ombra individualità e questioni.