Quando nel 1979 Marisa Cinciari Rodano entra nel Parlamento europeo (PE), in occasione della sua prima elezione diretta da parte dei cittadini, è molto popolare ed apprezzata nel suo paese. Rieletta alla tornata successiva, resterà al PE per 10 anni: dal 1979 al 1989.

Dall’archivio della Camera dei deputati

Fin dall’inizio assume un ruolo fondamentale nel compattare il piccolo gruppo di comuniste che gestiscono con abilità la nuova esperienza di appartenere ad un parlamento dai poteri tanto ristretti. Secondo la sua testimonianza il gruppo riesce a renderne più democratiche le modalità decisionali e a forzarne i ristretti limiti statutari proponendo materie per le quali il PE non aveva competenze, quali diritti umani, politica estera, sicurezza, questioni sociali, riforma della PAC, ambiente, e tutti quei temi riguardanti la condizione femminile che esulavano quelli economici e salariali. Quanto al progetto spinelliano, Cinciari lo appoggia ogni volta che esso giunge in discussione.

Le sue maggiori energie sono concentrate sui temi riguardanti le donne, in particolare sul lavoro, con un taglio non riduttivamente emancipazionista, ma più aperto alle riflessioni del movimento delle donne e della sua ala femminista. Si impegna a favore delle pari opportunità, ma le giudica insufficienti per soggetti sociali come le donne, connotati da diversità di cui tenere conto e da acquisire come positive. Fra le tante iniziative, quella di considerare come un crimine contro la persona il ricatto sessuale che subiscono tante lavoratrici in vari stati al momento dell’assunzione.

E’ attivissima nella Commissione ad hoc per i diritti delle donne (1979-1981), pur essendone solo membro supplente, è presidente e poi relatrice generale della Commissione d’inchiesta sulla condizione delle donne (1981-1984) e vicepresidente della Commissione dei diritti delle donne (1984-1989), preoccupandosi però che queste istituzioni non finiscano per ghettizzare le donne e i loro temi.

Nel 1984 presenta una ricchissima relazione sulla condizione femminile, composta di 18 rapporti delle componenti la sua Commissione, ma da lei ampiamente indirizzati. Fra questi un circostanziato e avanzatissimo capitolo sul tema donne e sviluppo.

Molta attenzione dedica alle questioni dei figli definiti illegittimi e delle madri definite naturali, colpiti da discriminazioni che considera intollerabili e in contrasto con gli stessi obiettivi della Comunità. In generale sui temi della famiglia e della maternità si pone come controparte laica e progressista rispetto alle posizioni più tradizionali. Nel 1986 presenta una ricchissima relazione sulle famiglie monoparentali tanto estesa e ricca da poter essere considerata un piccolo manuale sulla consistenza del fenomeno in tutti paesi della Comunità.

È poi relatrice sulla politica comunitaria verso le donne in numerosi convegni internazionali, ove si impegna a declinare i temi della condizione femminile senza chiusure nazionali o prevenzioni di parte. In effetti, come componente dell’Assemblea paritetica CEE-ACP, si interessa molto alla condizione delle donne nei PVS, sostenendo la necessità che esse non solo partecipino al processo di sviluppo, ma ne divengano soggetti. E l’elaborazione di una revisione dei programmi di aiuto allo sviluppo, finisce per diventare revisione delle stesse politiche comunitarie, innanzitutto nel settore delle produzioni ed esportazioni agricole.

Non solo. Si impegna intensamente per favorire l’invio di una delegazione del PE alla conferenza del Decennio ONU a Nairobi del 1985, riuscendo anche a farne parte.