Nella giornata mondiale della Terra, un pensiero, e un consiglio di lettura, può andare a un’antesignana botanica ed entomologa, scienziata e artista la cui opera di ricerca e di produzione letteraria, grafica e pittorica costituiscono un patrimonio inestimabile.

Geniale interprete della natura e del paesaggio, Maria Sibylla Merian (Francoforte sul Meno, 2 aprile 1642 – Amsterdam, 13 gennaio 1717), figlia di Johanna Sybilla Heim, seconda moglie dell’editore ed artista svizzero Matthäus Merian il vecchio (15931650), crebbe affascinata da un mondo in continuo e misterioso cambiamento: quello degli insetti (api comprese), considerati all’epoca bestie demoniache che nascevano dal fango e dalla putrefazione, come da insegnamento aristotelico; quello dei fiori di cui essi si nutrono; quello dei semi, delle piante e degli animali seguiti nella loro evoluzione, fino allo sviluppo del feto nel grembo materno, firmando capolavori durante una lunga vita da protagonista della scienza e dell’arte.

Nata e vissuta in ambienti artistici e del collezionismo (botanico ed entomologico), Maria Sibylla Merian apprese dal patrigno, Jakob Marell, pittore naturalistico, l’arte della matita e del pennello e superando qualsiasi opposizione avanzò negli studi, sperimentò in laboratorio, intraprese anche un viaggio di ricerca scientifica nel Suriname, all’epoca colonia olandese, quando tutto questo era impensabile, e criticato per una donna.

Moglie, nel 1665, del pittore Johannn Andreas Graff, allievo di Marell, si trasferì a Norimberga e mise al mondo due figlie che coinvolse nelle sue passioni e cui insegnò l’arte del disegno, della pittura e dell’illustrazione: Johanna Helena Graff (1668 – Suriname, c.a. 1724), a sua volta nota artista e illustratrice, la principale tra le seguaci della madre, che si sposerà con Jacob Hendrik Herolt che commerciava con il Suriname; Dorothea Henrica Graff (1678 – San Pietroburgo, 1743), che diventò la principale collaboratrice della madre. Dorothea, chiamata alla corte dello Zar Pietro il Grande con il secondo marito, il pittore svizzero Georg Gsell, insegnò presso l’Accademia delle Scienze, ne amministrò la collezione di storia naturale, dipinse fiori e uccelli per la collezione dello Zar, portò a Mosca opere della madre e altre ne acquistò tra quelle che aveva venduto e diventò la principale divulgatrice dell’arte europea in Russia.

La vita della giovane Sibylla, giunta a Norimberga con il marito, non fu facile; per mantenere quasi da sola la famiglia, aprì una scuola di pittura, di soggetti vari e stoffe, e di ricamo per signore, ma, determinata a non lasciare studio e ricerca, imparò il latino e compose il suo primo libro sui fiori (in tedesco) che inizia con la descrizione del baco da seta e che doveva servire anche da campionario per le ricamatrici. Tra il 1677 e il 1680 compose altri due volumi mentre allevava anche la seconda figlia (che portò il nome della madrina, la pittrice tedesca Dorothea Maria Auerin, allieva della madre) e, oltre all’insegnamento, vendeva strumenti e colori per la pittura.

La metamorfosi meravigliosa dei bruchi e il loro curioso nutrimento floreale è composto da 50 tavole che riportano l’intero sviluppo di vari insetti, dalle uova, al bozzolo, alla farfalla e lo stesso, dal seme, agli steli, alle corelle, dei fiori di cui si nutrono. Il tutto, accompagnato da argute osservazioni che nulla hanno a che vedere, per spontaneità e riferimenti alla vita quotidiana, con le austere descrizioni di altre opere entomologiche del periodo, a firma maschile.

La leggerezza, la raffinatezza con cui è trattata la materia, è ancora oggi un esempio di somma arte e scienza barocca come s’apprezza anche dall’eccellente pubblicazione curata da Maria Gregorio per Rosemberg & Sellier (1993). Se qualcuna ha saputo amare e celebrare la Natura, rendere dignità anche agli insetti, scoprirne la bellezza e l’interconnessione con il mondo vegetale e umano, questa è Maria Sibylla Merian.

Il 1685 fu il suo anno di svolta. Separatasi dal marito e rifiutata la riconciliazione, si stabilì con l’anziana madre, il fratellastro (Matthäus Merian), e le due figlie in una comune labadista, nel castello di Waltha (Paesi Bassi). Il movimento eterodosso, fondato dall’ex gesuita francese Jean de Labadie, era vicino al Quietismo e anticipava il Pietismo. L’appartenenza a quel movimento dimostra l’attenzione di Maria Sibylla ai cambiamenti, anche religiosi e sociali in atto e l’adesione al pensiero protestante.

Il proprietario del castello, Cornelis van Sommelsdijk, era il Governatore della colonia olandese del Suriname; un appassionato di farfalle tropicali e sulla sua collezione di farfalle tropicali Maria Sibylla proseguì i suoi studi.

La diaspora seguita al tracollo finanziario della comunità labadista portò Maria Sibylla ad Amsterdam (1691) dove, con le figlie, aprì uno studio producendo tavole e acquerelli a soggetto naturalistico e paesaggistico offrendo anche a loro un luogo in cui esprimersi, guadagnare e fare carriera, come fecero entrambe. Quando Johanna si sposò con un ex labadista (Herolt) che commerciava con il Suriname, gli studi entomologici si moltiplicarono. Nel frattempo, Johanna, diventata bravissima nei soggetti floreali, fu assunta da un’amica della madre, Agnes Block (1624-1704), pittrice, botanica, collezionista e mecenate olandese, a illustrare in una serie di tavole le piante dell’Orto botanico di Amsterdam.

Oltre agli insetti del Suriname, Maria Sibylla si avvaleva delle collezioni entomologiche di Nicolaas Witsen e Jonas Witsen (ai vertici della Società delle Indie orientali), e del medico Frederik Ruyschel, che stimolarono ulteriormente la sua fame di sapere. Pensò così a una spedizione scientifica nel Suriname da effettuare con la figlia Dorothea e con determinazione superò tutti gli ostacoli che le si frapponevano, in parte dovute ai pregiudizi, essendo le spedizioni scientifiche territorio maschile, in parte economiche, specie dichiarando di voler esplorare per scopi solo scientifici, non economici. Dovette comunque promettere una certa quantità di reperti (uova, insetti, serpenti e altri animali del luogo, al tempo sconosciuti) al suo finanziatore, il borgomastro di Amsterdam.

Madre e figlia salparono nel giugno del 1699 raggiungendo, in tre mesi, il Suriname e iniziando l’esplorazione, con base a Paramaribo, capitale dell’allora colonia. Con pazienza e determinazione superarono ogni difficoltà, acquisendo dalle popolazioni indigene e da quelle africane (schiavizzate da Olandesi e altri europei), e accuratamente riportando informazioni sui luoghi, le piante, gli animali, gli insetti, le conchiglie, gli utilizzi medicinali e cosmetici che se ne facevano nel territorio:

Es. “I semi della Flos pavonis sono usati dalle donne che hanno le doglie per accelerare il travaglio. Le indiane, che sono maltrattate dagli olandesi presso i quali sono a servizio, li usano per abortire affinché i figli non nascano schiavi come loro. Le schiave nere della Guinea e dell’Angola vanno trattate con una certa benevolenza altrimenti in condizione di schiavitù non fanno bambini. E infatti non ne hanno e arrivano a suicidarsi per il trattamento al quale sono abitualmente sottoposte. Infatti credono di rinascere libere nel loro paese in condizione di libertà.” (Wikipedia, voce M. S. Merian)

Per tutta la stagione delle piogge del 1700, la spedizione risalì il fiume Suriname, inoltrandosi nella foresta quasi fino a Providence. L’esito fu un’eccezionale produzione – per bellezza e rarità dei soggetti mai visti prima in Europa e precisione nell’illustrazione e descrizione – della natura (animale e vegetale e minerale) del Suriname, già messa a rischio dalla colonizzazione europea.

Nel classificare le specie, Maria Sybilla mantenne il nome indigeno dimostrando un inconsueto rispetto, per l’epoca (in cui si stavano compiendo genocidi e sviluppando la schiavitù nel centro e sud America), per le conoscenze delle popolazioni amerinde e africane.

Dorothea seguì sempre la madre e se ne prese cura quando la febbre gialla la costrinse a rientrare in Olanda, dove rimase paralizzata da un colpo apopletico, poi colpita da infarto.

Alla morte della madre, Dorothea ne assunse il cognome che mantenne, anche sposandosi, in segno di riconoscimento e d’amore. Non si sa quando precisamente Dorothea tornasse nel Suriname, dove morì. Anche Johanna effettuò un viaggio nella colonia (1711), realizzando lavori su insetti e osservazioni che avrebbero dovuto formare un’appendice dell’ultimo volume del Libro dei bruchi della madre, ma che non vide mai la luce.

Il capolavoro di Maria Sibylla Merian uscì postumo, edito da Dorothea ad Amsterdam, la quale editò anche la Metamorfosi degli insetti del Suriname (1718) che sua madre aveva dichiarato di realizzare non per guadagno, rifacendosi solo delle spese, ma per diffondere conoscenza e gioia; riscattare gli insetti dalla loro brutta fama e celebrare la grandezza della natura nei suoi infiniti cambiamenti.

La Repubblica Federale Tedesca ha dedicato a Maria Sibylla Merian un francobollo (1987) e l’Istituto Leibniz le ha intitolato una nave per le ricerche nel Mar Baltico.

M. S. Merian; a cura di Maria Gregorio, La meravigliosa metamorfosi dei bruchi, Rosenberg & Sellier Torino, 1993.