Nadia Maria Filippini, “Mai più sole” contro la violenza sessuale. Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta, Roma Viella, 2022.

Il merito della storica Nadia Maria Filippini è di aver salvato dalla damnatio memoriae il processo per stupro, avvenuto a Verona l’anno dopo quello per il delitto del Circeo (1975) – uno spartiacque sulla consapevolezza della parzialità dei tribunali- che costituirà un modello di mobilitazione femminista sulla denuncia della vittimizzazione secondaria fin dalla fase inquirente.

La ricostruzione, in uno stile espositivo chiaro, tramite una capillare ricerca di fonti, quali il fascicolo processuale, la stampa d’epoca, le foto, le trasmissioni radiofoniche e televisive, gli archivi del Movimento delle donne di Verona e di Padova e venti interviste alle protagoniste, evidenzia la critica radicale al patriarcato e alle istituzioni, quando la verginità era l’unico valore dominante, al punto che la colpevolizzazione della vittima e il disonore rappresentavano un destino certo.

Il codice Rocco infatti stabiliva che la violenza sessuale era un delitto “contro la moralità pubblica e il buon costume” e si basava sulla querela della donna, che secondo il vis grata puellae ovidiano aveva l’onere di dimostrare non solo il diniego, ma la sua resistenza effettiva.

La novità sono state la solidarietà e la presenza attiva del Coordinamento femminista della città – da cui lo striscione “Stiamo insieme ora per non essere più sole!”- il quale ritenendo che “ogni processo per violenza carnale è un processo politico”, concordò prima la difesa con l’avvocato Todesco, poi con le avvocate Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya, e organizzò assemblee cittadine, uno spettacolo teatrale di studentesse, sit-in di piazza. 

Soprattutto è stato un uso sapiente dei mass media a dare risalto al coraggio di colei che, insieme alle altre, non accettò di essere l’ennesima vittima sacrificale di una morale clerico-maschile, favorendo una presa di posizione collettiva e un cambiamento di mentalità.

La richiesta di ricusazione della Corte “per inimicizia grave”, ovviamente respinta, la successiva carica di polizia senza preavviso contro le dimostranti, porteranno alla conclusione del processo a porte chiuse, anche in assenza della stampa -che successivamente protestò per il “grave sopruso”-, ma con una sentenza di condanna degli imputati a 4 anni e 6 mesi, per la “soggezione fisica e morale” inflitta alla donna, con “crudeltà e odiosità” ed, elemento nuovissimo, il riconoscimento di un risarcimento ai movimenti femministi.

Filippini, nell’ultimo e quarto capitolo, analizza il proliferare, nella seconda metà degli anni Settanta, delle manifestazioni ai processi per stupro in Italia, la nascita dei centri antiviolenza a Roma, Milano, Torino, Catania, Bologna e Ancona, per fornire tutela legale e psicologica alle donne, l’iter -lungo anni- con 7 proposte di legge in Parlamento e infine il varo della legge n. 66 del 15 febbraio 1996 che, insieme alla procedibilità d’ufficio, afferma il principio per cui la violenza sessuale è un crimine contro la persona.

Conclude che l’attuale mobilitazione femminista globale, con forme transnazionali e transculturali, come Ni Una Menos in Argentina e il #Metoo negli Stati Uniti, nonostante la piaga del femminicidio, induce ad un pensiero fiducioso del futuro.


Vedi intervista a Nadia Maria Filippini sul canale YouTube associazione Il Paese delle Donne