Riceviamo da Chiara Savazzi la riflessione, che pubblichiamo, sulla tematica della maternità e in particolare dell’allattamento. Chiara ne parla “dal punto di vista di una persona comune”, attraverso le informazioni acquisite durante il corso pre-parto e poi sperimentate da neo-mamma.
Info: Chiara Savazzi è avvocata e dottoranda di ricerca e Cultrice in diritto penale, specializzata in diritto di famiglia e coordinazione genitoriale
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Madri e figli

Riuscire a conciliare le istanze del neonato e i bisogni di una mamma che, anche dopo essere diventata tale, non smette di ricoprire altri ruoli, non è cosa banale. Qualcuno dirà che ci sarà tempo, per una mamma, di proseguire lungo altri percorsi ambìti e di mantenere altre vesti, oltre a quella di genitrice. In realtà, fin da subito si percepisce l’impellente necessità di riappropriarsi di un “io” completo, esaustivo, che racchiuda le sfaccettature di quella precisa persona, non solo della neo-mamma.
Dall’altra parte, il neonato, totalmente dipendente dalla madre, necessita di cure, protezione, nutrimento, ogni ora del giorno e della notte. A tal proposito, un grande psicoanalista del ventesimo secolo, John Bowlby ha studiato l’attaccamento cui si dà vita nei primi anni di vita, sostenendo come esso sia fondamentale sia nella creazione di legami familiari solidi e duraturi, sia nello sviluppo di una personalità – già nel bambino – che non riporti, in età adulta, problematiche psichiche, forme di anaffettività, insicurezze e paure invalidanti. Secondo lo studioso, in netta contrapposizione a Freud, la connessione madre-figlio non si ridurrebbe ad un fattore di bisogno nella crescita fisica né all’azione di fornire nutrimento a chi non può ancora procurarselo da sé; invero, l’aspetto psicologico ed emotivo rappresenterebbe parte essenziale di quell’attachement potenzialmente eterno, il quale deve, però, per apportare benefici, essere costruito in maniera sana ed equilibrata. Quanto più la madre sarà presente, pronta a soddisfare le richieste del bambino, tanto più quest’ultimo crescerà sicuro delle sue capacità, fiducioso verso gli altri, emotivamente stabile.
Dunque, se la mamma ricerca nuovamente se stessa, dopo nove lunghi mesi di attesa, il bambino cerca lei, unica figura che possa dargli il conforto di cui ha bisogno.
Ciò che diviene imprescindibile, allora, è la presenza di un contesto favorevole alla relazione mamma-figlio, da un lato, e all’ascolto e al supporto di una donna che desidera fare del suo meglio senza annichilirsi in ciò che rappresenta solo un aspetto di sé: la maternità. Non si tratta di egoismo ma di porre maggiormente l’attenzione sul benessere di colei che – sempre parafrasando Bowlby – riflette quotidianamente i suoi stati d’animo e le sue angosce sul bambino, influenzando la sua crescita e quell’attaccamento che sembrerebbe cruciale anche nel suo futuro prossimo. D’altronde, il puerperio è quella fase della vita in cui dovrebbe prevalere il supporto sulle puntualizzazioni e sulle considerazioni non positive; in cui la società dovrebbe predisporre strumenti di aiuto, di vario tipo, per chi si affaccia alla maternità, un mondo denso di incognite, di sorprese, di equilibri molto precari.
Solo uno dei tanti aspetti della relazione madre-figlio, che può portarsi come esempio di fatica e abnegazione è l’allattamento esclusivo (quello che non include latte artificiale), sempre meno diffuso, probabilmente anche per la mancanza di supporto, fin dai primi momenti in ospedale.
L’allattamento esclusivo è pesante, prosciuga le forze, specialmente di notte quando si ha un occhio chiuso e si sentono i ronzii nelle orecchie per quanto si ha sonno. È faticosissimo, perché la mamma deve essere sempre a disposizione del suo bambino e se deve assentarsi per un impegno, deve calcolare tutto al minuto, cercare di allattarlo poco prima di uscire e, se questo non è possibile perché magari in quel momento sta dormendo, allora deve tornare nel giro di massimo un’ora (altrimenti nel giro di due/tre). A meno che non ci si avvalga dell’opzione “me lo tiro, che però non sempre è attuabile, in quanto alcuni bambini non gradiscono il biberon. Se qualcuno deve venire a casa a far visita, si deve fare in modo di allattare prima dell’arrivo dell’ospite; perché non si tratta solo di scoprirsi e dare da mangiare, dovendo fare i conti col fatto che il bimbo potrebbe innervosirsi, volere che intorno ci sia silenzio, iniziare a piangere nel sentire troppe voci quando mangia. Questo ovviamente significa che con alcune persone ci si può permettere di chiedere di parlare sottovoce, con altre no. Quindi, anche in questo caso, incidono molto la sensibilità e l’empatia di chi sta intorno. L’allattamento esclusivo comporta sperimentare mille posizioni – seduta, distesa, con il braccio alzato, con i cuscini sotto il braccio – perché non sempre va bene quella scelta di solito; comporta un sacrificio enorme che si va ad aggiungere a tutti gli altri fatti durante il giorno, in termini di rinuncia ad indossare determinati vestiti perché poco confortevoli; di abbandono del proprio spazio vitale, perché nella fase dell’allattamento il bimbo vorrà stare quasi sempre pelle a pelle. Ma l’allattamento esclusivo è sfiancante soprattutto per due motivi: perché pochissime mamme ormai scelgono di farlo (e questo ovviamente non va ad incentivare chi invece vuole farlo) e per le considerazioni degli altri. Per quanto riguarda il primo punto, sono tantissime le persone che affermano “devo dare l’aggiunta, non ho latte”. Questo accade perché, purtroppo, si fa pochissima informazione e si tende a scoraggiare chi dà il proprio latte. Ogni mamma ha il latte. Tutte, salvo problemi. Ma è evidente che non tutte, né tantissime, possono avere problemi nella produzione del latte. Più il bimbo viene attaccato, fin dai primi istanti di vita, più il seno produrrà latte. Talvolta è complicato perché, come nel mio caso, si possono avere tantissime ore di travaglio concluse poi con un cesareo, si può essere molto stanche, non riuscire a muoversi, avere i valori del sangue completamente sballati, tremori, debolezza, mancanza di sonno. Ed è qui che il supporto diviene necessario ed imprescindibile.
Ogni mamma ha il latte giusto ed adeguato al proprio bambino; certo dare un biberon di latte artificiale è più comodo e sbrigativo, anche perché essendo meno digeribile, il bimbo collassa letteralmente in un sonno profondo e quindi la mamma riesce a riposarsi, il che è sacrosanto. Ma ci possono e ci devono essere delle alternative, provenienti dalla famiglia, dalla società, dagli operatori del settore, che non facciano sentire la mamma sola e fragile. Ciò non solo per lei, ma anche in nome di quell’attaccamento- di cui l’allattamento è parte integrante – che è posto alla base dell’infanzia di oggi e dalla vita adulta di domani.