Tutto cominciò nel 1880 a Codogno: una suora di meno di 30 anni, Francesca Cabrini, fonda l’Ordine delle Missionarie del Sacro Cuore mettendo su Casa in un vecchio convento della cittadina lombarda.

Passano 12 anni e la ritroviamo a New York.

E’ il  17 settembre, sono le due del pomeriggio, fa caldo e la città è deserta. Da un carrozzone a cavalli fermo davanti al numero 41 della 12th Street, madre Francesca Saverio Cabrini scende seguita da altre sorelle che l’aiutano a scaricare una barella con un malato grave. Altri malati, chi in vestaglia chi in pigiama, le si affollano attorno. Sotto i panni nascondono alcuni fagotti. Ci sono posate, candelabri, salviette, piatti e poi lenzuola e materassi che stanno scaricando dall’ambulanza.

Madre Cabrini ha deciso in gran fretta di aprire un ospedale tutto suo in un appartamento in affitto completamente vuoto e ha trasferito i pochi malati che hanno voluto seguirla dal vecchio ospedale dei padri scalabriniani che, oberato dai debiti, sta per essere messo sotto sequestro.

Manca la luce, manca il gas. Si provvede con venti bicchieri trasformati in lucerne a olio. L’acqua da bere la si prese al vicino ristorante, insieme con il brodo del primo pasto. Per riscaldarlo, venne adoperato l’unico fornello a carbone disponibile, orgogliosamente troneggiante nella cucina vuota. Sulla tavola, in fila come fucili nelle rastrelliere, una ventina di bottigliette di medicinali. Le suore, a sera, si sdraiarono sui materassi a terra, coprendosi con il mantello.

Molti medici si misero a disposizione rinunciando all’onorario e invitando altri a imitarli. In pochi giorni la piccola struttura sanitaria fu in grado di funzionare decorosamente, sia pure con mansioni limitate.

“Invece di rimanere con la faccia a terra a far penitenza, meglio muoversi, correre senza fermarsi” invitava Madre Cabrini che aveva un meritatissimo soprannome: “Suor moto perpetuo”. Memorabile fu il suo viaggio sulle Ande a dorso di mulo.

Era piccola, gracile, il fisico minato dalla tisi, eppure riuscì ad ottenere sempre ciò che voleva e a conquistare per i suoi progetti umanitari spazi e aiuti in tutto il mondo. Fu una straordinaria donna d’affari.

Bussando di porta in porta e con una tenacia davvero fuori dal comune, la Cabrini fondò un impero: ospedali, collegi, orfanotrofi, scuole dalle materne alle superiori, dispensari, case di cura, laboratori, nidi d’infanzia, ricoveri per i vecchi poveri, brefotrofi, scuole per infermiere sparsi in Italia, Spagna, Inghilterra, Nicaragua, Brasile, Argentina, Tunisia, Stati Uniti, Francia e Cina.

“Il nostro proposito – diceva – è di salvare gli orfani italiani dalla miseria e dai pericoli che li minacciano, per farli diventare buoni cittadini”. 

Di bambini, rigurgitava l’East Side: lustrascarpe, mendicanti, piccole guide ammaestrate ad accompagnare danarosi turisti nei bordelli. Hanno dieci, dodici anni. Molti vengono “commissionati” direttamente in Italia. Giungono clandestinamente da quando la legge americana ha vietato l’immigrazione dei minori. Sono ben pagati dal racket dell’accattonaggio, della prostituzione, del gioco d’azzardo illegale.

Il “prezzo” d’un bambino italiano venduto agli speculatori di New York si aggira sui duecento dollari.

Quello d’una bambina oscilla fra i cento e i cinquecento.

A volte sono bambine mezze nude mandate a chiedere l’elemosina quelle che Francesca raccoglie, ristora, copre -quando non c’è altro – con il proprio scialle. Spesso, purtroppo, è costretta a restituirle alla rapacità di equivoci tutori che minacciano di ricorrere alla polizia che talvolta interviene non per ammonire gli sfruttatori, ma le suore.

“Gli italiani qui sono trattati come schiavi – denunciava Madre Cabrini -. Qualcuno mi chiede perché perdo tempo a razzolare fra gente di questa specie. Queste espressioni mi feriscono in fondo all’anima e bisognerebbe non sentire amor di patria per non essere ferita. Sento un senso profondo di ribellione per tante ingiustizie. I “miei” italiani non se le meritano. Non sono selvaggi, come vorrebbero far credere”.

Per Madre Cabrini le sue suore dovevano essere vicine alla povera gente che, secondo la sua regola, doveva essere soccorsa e aiutata. Per questo decise, con un manipolo di suore, di andare ad occupare l’appartamento della 12th Street mettendo le fondamenta del Columbus Hospital, uno dei più prestigiosi di New York.

Così nacque il nuovo ospedale. C’era grande entusiasmo e molto ottimismo tra i suoi fondatori. Piovvero le proposte per il nome da assegnargli. Più o meno vennero chiamati in causa tutti i santi del calendario.

Si celebrava proprio allora il quarto centenario della scoperta dell’America.

Lei decise: chiamiamolo Colombo, che va benissimo!

La coincidenza parve e lo fu di buon auspicio.