Al Museo degli Uffizi di Firenze è custodito un suo autoritratto che mi ha incuriosito. Le fu richiesto nel 1876. Per pseudonimo, la duchessa Adele d’Affry (nata nel 1836 muore nel 1879) prese un nome maschile: Marcello. Voleva assolutamente essere un “pittore”. Era volubile. Ci fu un periodo in cui aveva pensato di farsi monaca ma alla fine i pennelli e la tavolozza ebbero il sopravvento e bisogna dire che li sapeva usare con maestria.

Cominciò a ribellarsi a 15 anni, quando disse a sua madre che alla propria istruzione avrebbe provveduto da sola. Via le governanti, via gli insegnanti imposti, voleva fare tutto da sé! Elaborò, perciò, un piano di studi sugli antichi classici e si dedicò alla scultura affrontando le lezioni di anatomia vestita da uomo.

Il battito del suo cuore si accelerò all’incontro con il duca Carlo Colonna Doria di Castiglione che sposò. Ma pochi mesi dopo le nozze era già vedova.

In seguito, si stabilì a Parigi e nel 1863 giudicando una sua opera matura per affrontare il grande pubblico, decise ad esporla al Salon.

Si trattava del ritratto di Bianca Capello: nobildonna veneziana nata nel 1548 e morta ad appena 39 anni che fece la felicità dei gazzettieri del tempo per le sue relazioni amorose e clandestine, con l’approdo al Granducato di Toscana grazie al matrimonio con Francesco de’ Medici.

D’Affry, Bianca Capello

E qui la scelta di Bianca Capello ci seduce al punto che non possiamo fare a meno di raccontare chi fosse.

La Granduchessa abitava nella villa medicea di Poggio a Cajano, una delle più belle dimore nei dintorni di Firenze ricostruita da Lorenzo il Magnifico.

Pare che il camino fosse dell’Ammannati, mentre la scala è di Giuliano da Sangallo.

Una villa che si pregia anche degli affreschi di Alessandro Allori e di una grande composizione dell’eccentrico pittore fiorentino Pontormo.

Ricordiamo inoltre che lo scultore e architetto Bartolomeo Ammannati è l’autore della fontana di Piazza della Signoria a Firenze con il suo colossale Nettuno. Uno scultore, dunque, oggi conosciuto in tutto il mondo.

La vita di Bianca Capello si svolgeva tra una kermesse e l’altra: feste danzanti e battute di caccia, combattimenti di tori e spettacoli musicali.

Il marito, il Granduca Francesco, dal canto suo di dilettava di esperimenti scientifici. Di che tipo? Militareschi, dobbiamo dire. Pare che avesse fatto costruire una grande palla che, riferiscono le cronache dell’epoca, “si fa rompere dove l’uomo vuole e una volta rotta fa grandiosa mortalità di gente”. A cosa ci fa pensare tutto questo? Ad un ordigno che anticipa l’utilizzazione di un meccanismo bellico. In sostanza, un antenato della bomba. Ahi noi!

Bianca, d’altra parte, era “molto chiacchierata”, si direbbe oggi, perché aveva anche fama di essere dedita alla stregoneria. In più si raccontava che avesse sottratto il neonato ad una popolana  alla quale fu fatto credere nato morto e che Bianca  fece passare per suo. E figurarsi che la povera popolana fu utilizzata per allattarlo. Sì, proprio Lei, la madre.

Era stato il medico ad aver perpetrato l’imbroglio. Lo rivelò alla madre vera solo prima di morire. Un segreto che, da parte sua, ella custodì gelosamente fino alla morte della Granduchessa. Un gesto, nobile, che sposta un faro su di lei, sottraendolo a Bianca Capello, anche se e occorre confessarlo, Bianca, come si dice ancora oggi a Roma, “ne faceva di cotte e di crude”. Insomma, non possiamo dimenticare, come si dice a Firenze che era “una gran lenza”!

A questo punto torniamo alla duchessa Adele d’Affry, il cui pseudonimo Marcello circolava sempre di più nell’ambito artistico. Nel 1866 scolpì due busti in ricordo della regina Maria Antonietta, ghigliottinata durante la Rivoluzione francese. 

Partecipò anche all’Esposizione Universale del 1867 con sette opere tra cui “Ecate e Cerbero” acquistata dal Municipio di Parigi e purtroppo andata distrutta durante la Comune.

Essendo molto soggetta a malattie legate ai polmoni, abbandonò la scultura che richiedeva molto tempo e impegno fisico e si dedicò alla pittura.

Fece un viaggio in Spagna per vedere dal vivo i capolavori di Goya, Velasquez e Murillo. 

Nel 1869 la principessa Climay posò per lei. Nel 1870 eseguì il busto del compositore Liszt e quello dell’Imperatrice d’Austria.

Poiché la malattia si aggravava, nel 1878 partì per Napoli e si stabilì per un certo periodo a Castellammare. Ma… dato che non poteva più dedicarsi alla scultura, lasciato lo scalpello prese il pennello. Sì, tavolozza alla mano si poteva dipingere soprattutto all’aria aperta!

A poco a poco, però, Adele/Marcello capì che il male stava prendendo il sopravvento e con estrema civetteria cercò quale dei suoi abiti fosse il più adatto per abbandonare la terra. Ci teneva molto soprattutto perché voleva lasciare a chi la conosceva un’impronta di bellezza.

Poiché alloggiava al Quisisana, per non impressionare i facoltosi e aristocratici ospiti del grande albergo, fu sepolta di nascosto durante la notte.

In seguito la salma fu traslata in un cimitero nei pressi di Friburgo, sotto un monumento che lei stessa aveva disegnato.

Nel proprio autoritratto mette in luce la sua procace bellezza rimandandoci un sorriso un po’ ammiccante. Sull’abito, a destra, è poggiata una rosa che pare offerta agli occhi dello spettatore.

In un altro ritratto è adagiata su una comoda poltrona e la firma, Marcello, è posta non sul fondo, ma un po’ più in alto, ben visibile sul vestito della ritrattata.

Più Adele che Marcello o più Marcello che Adele? Chissà?!

Non so perché mi è venuto in mente Oscar Wilde il quale diceva: “Bisogna realizzare la propria personalità su un piano immaginativo, fuori dagli intralci e le limitazioni della vita reale ed è sul palcoscenico che si opera il miracolo dell’arte che ritorna alla vita”.