Al signor Presidente del Consiglio.

Signor Presidente,

L’immaginario femminile al quale si riferiscono i politici è desolante.

Tanto desolante che da parte mia ho smesso di ascoltare con grande sollievo, per altro, sul piano delle mie certezze sintattiche e grammaticali. Cerco da tempo di comprendere da quanti e quali danni causati dai politici posso difendermi. È stata una scelta di sopravvivenza difficile ma necessaria, soprattutto da quando la politica istituzionale si identifica ed investe sul governo dei sentimenti, più che delle cose, quando è rivolta alle cittadine e ai cittadini normali.

Mi sento costretta però a tornare sui miei passi: le maggioranze politiche impegnate nel minuto drenaggio di ogni risorsa economica “del popolo” per anestetizzare il cittadino ridotto a superschiavo e hanno prodotto per necessità leader carismatici per i quali la parola è la politica. Siamo noi donne la principale risorsa di siffatte politiche, siamo le prime superschiave e si pretende da noi l’adesione incondizionata al modello sorridente di angeli della crisi.

Il malcontento che esprimiamo ormai ci fa bollare come deprivate culturali e soprattutto iettatrici e terroriste: i due termini apparentemente stridono, ma che nella leggerezza lessicale del suo governo coincidono.

Le scrivo per un motivo preciso. Parlando del pasticcio mortifero delle pensioni lei ha detto, ad un certo punto, quasi testualmente: “ma se io sono una donna di sessanta, sessantuno, sessantadue, sessantatré anni credete che non voglia rinunciare a trenta o quaranta euro, per andare in pensione prima e godermi il nipotino?”. In una trentina di parole, sorvolando sulla rinuncia al condizionale nella solita incertezza sull’uso alternativo e indifferente di un congiuntivo, ha pronunciato una trentina tra stereotipi e falsità.

Dovrei anche dirle quali sono questi stereotipi e falsità, ed invece scelgo di proporle un quesito da girare alle donne del suo governo, attraverso le quali ha voluto dare per estinto il contenzioso antico e abissale tra stato e genere. Chieda a loro cosa e se c’è qualcosa di sbagliato, di offensivo in ciò che ha detto. Se teneramente dovessero confortarla, le renderebbero un pessimo servizio confermandola in una linea che alla fine forse non la porterà, come dovrebbe essere, a cimentarsi su un campo di bocce, una volta maturata l’età (meglio se non a sessant’anni, sessantuno, sessantadue ecc., ma prima e rinunciando a mille, duemila o cinquemila euro), nell’illusione che sua moglie con le sue sei braccia nel frattempo le prepari l’accoglienza dei nipotini e il pranzo. Penso fondatamente che lei invece rimarrà vittima del suo arcaismo e del suo nulla filosofico, senza sapere perché, pateticamente rinchiuso in un odio sordo verso chi non l’ha compresa, ritenendolo responsabile dei suoi fallimenti.

Non attendendo risposta, da parte mia dichiaro solo la mia incondizionata avversione verso i politici che assomigliano alle loro stesse barzellette e ai loro stessi aforismi.