Prima di intervenire nel dibattito sulla surrogata – dibattito che peraltro in Italia è nato male, essendo stato, del tutto erroneamente, associato alla discussione sul ddl Cirinnà sulle unioni civili – è necessario fare una premessa di tipo metodologico. Dobbiamo infatti scegliere a quale di queste due domande vogliamo tentare di rispondere: “la surrogata è giusta o sbagliata?” oppure: “legalizzare la surrogata è giusto o sbagliato?”. Sono due domande che pongono questioni molto diverse, e che riguardano due ambiti distinti, anche se non completamente indipendenti fra di loro: la morale, ossia quell’ordine di convinzioni, valori e princìpi che ciascuno di noi si dà e a cui ispiriamo i nostri comportamenti nei confronti di noi stessi e degli altri, e il diritto, ossia l’ambito delle norme generali e universali che regolano i rapporti fra le persone, se necessario imponendo anche con la forza a terzi di adeguarsi. Si tratta di due ambiti che nella storia si sono spesso sovrapposti fino a confondersi e spesso il diritto è stato il braccio armato della morale dominante, lo strumento con cui il potere imponeva ai singoli una determinata visione morale.

La sovrapposizione fra diritto e morale tiene fino a che la società è sufficientemente omogenea dal punto di vista morale, una condizione in cui i “dissidenti” sono talmente pochi da poter essere tollerati e trattati come devianti senza mettere in discussione il sistema. Mano a mano però che la società diventa sempre più disomogenea dal punto di vista culturale e morale, e soprattutto mano a mano che i singoli individui escono “dallo stato di minorità” e iniziano ad avere “il coraggio di servirsi della propria intelligenza” (I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos’è l’illuminismo?), la differenza fra diritto e morale diventa sempre più evidente e l’uso strumentale del diritto per imporre una specifica visione morale sempre meno tollerabile. Si fa finalmente strada la differenza fra fondamentalismo e laicità (termini che intendo in un senso molto lato: fondamentalisti sono tutti coloro, non solo religiosi, che intendono usare il diritto come strumento per imporre una determinata visione morale; laici sono coloro, credenti e non, che ritengono che sulla propria vita l’ultima parola spetti solo a ciascuno di noi).

In questo contesto, quel che si chiede al diritto non è più di garantire la formazione di una società buona e di persone buone, ma di creare le condizioni migliori possibili affinché ciascuno possa “perseguire la propria felicità” come meglio crede, con il solo limite di non arrecare danno ad altri e, soprattutto, di non impedire con il proprio comportamento che altri abbiano la stessa possibilità. Questo “contenuto minimo” del diritto, è solo a prima vista davvero “minimo” perché in realtà, se preso sul serio, implica per esempio che lo Stato produca una legislazione tale da “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (Costituzione italiana, art. 3). Ossia scuola pubblica e laica di alta qualità per tutti, condizioni di lavoro più che dignitose, sistema sanitario tendenzialmente gratuito e universale, lotta senza quartiere a mafia e corruzione ecc. ecc. L’ideale regolativo delle eguali condizioni di partenza per tutti – impossibile da raggiungere completamente ma doveroso da perseguire asintoticamente – dovrebbe guidare senza tregua una politica che voglia garantire la piena libertà di ciascuno. Perché, se è vero che la libertà di scelta assoluta è pressoché una chimera – essendo le alternative disponibili di solito limitate – questo non è un buon argomento per imporre a terzi le proprie scelte: è solo un ottimo argomento per impegnarsi affinché il ventaglio delle alternative disponibili a ciascun soggetto si ampli sempre di più.

Questa lunga premessa per dire che il dibattito pubblico sulla surrogata si pone – si dovrebbe porre – sul piano del diritto, e non su quello della morale. Ossia bisognerebbe tentare di rispondere alla domanda: “è giusto o sbagliato che la legge vieti la surrogata?”. La risposta a questa domanda non é affatto detto che coincida con quella che ciascuno di noi, in foro interiore, dà all’altra, ossia se la surrogata sia una cosa buona e giusta in sé. Sia chiaro: è perfettamente legittima anche la discussione di questa seconda domanda, quel che contesto è che dalla risposta a questa seconda domanda si possa automaticamente inferire la risposta alla prima. Questa sarebbe una fallacia.

Il dibattito su aborto e divorzio dovrebbe averci insegnato qualcosa. Accettare la legalizzazione del divorzio e dell’aborto non implica affatto condividerli in sé e non esiste possibilità alcuna che la legge imponga a qualcuno di divorziare o di abortire. Semplicemente, queste leggi hanno ampliato la possibilità di scelta delle persone – il ventaglio delle alternative disponibili affinché ciascuno possa perseguire la propria felicità. Le leggi sul divorzio e sull’aborto sono emblematiche della differenza fra uno Stato etico, in cui il potere impone una visione del mondo e delle persone, obbligandole a comportamenti ritenuti “buoni”, e uno Stato laico (nel senso di cui sopra), in cui esso non ha una precisa ricetta da imporre, ma costruisce le condizioni e pone le regole affinché ciascuno possa compiere le proprie scelte in piena (per quanto possibile) autonomia e libertà. Battersi per legalizzare divorzio e aborto non significa condividerli in sé, ma avere come faro il rispetto dell’autonomia di ciascuno. Significa assumere seriamente il principio: “chi sono io per giudicare?”.

È curioso quindi che nel dibattito sollevato prima dall’appello di Se non ora quando, che ha contribuito a confondere le acque fra gravidanza surrogata e unioni civili, e poi dalla vicenda personale di Nichi Vendola, si parli di “surrogata” o “utero in affitto” e non di legalizzazione della surrogata. Mentre è proprio questo il tema.

Un primo argomento a favore della legalizzazione della surrogata è che finora essa è stata vietata in Italia eppure questo non ha impedito a molte coppie – soprattutto eterosessuali – di ricorrervi, con tutto il corredo di questioni che il ricorso a pratiche vietate comporta. Come per l’eterologa o come, per fare un esempio diverso, per l’eutanasia, finché queste pratiche rimangono vietate, saranno sempre privilegi di classe. L’argomento usato in maniera becera contro Vendola – sei di sinistra, eppure sei andato in America a “comprarti” il bambino perché hai i soldi – dovrebbe semmai segnalare che è proprio il divieto a rendere la surrogata un privilegio di classe. Come l’eutanasia in Svizzera e come l’aborto prima della 194 (e con le percentuali di obiettori che abbiamo in Italia sta tornando a diventare un privilegio di chi può permettersi di andare all’estero, o anche solo di spostarsi in una regione con meno obiettori).

Ed è sempre il divieto che spalanca le porte a possibili abusi e al potenziale sfruttamento di donne povere che la libertà di scelta non sanno neanche cosa sia. Legalizzare vuol dire sempre regolare, controllare, monitorare (come la 194 dimostra in maniera esemplare). L’argomento della presunta “mercificazione” del corpo della donna non è invece per niente convincente. Anche a me personalmente fa uno strano effetto l’idea che una donna possa mettere a disposizione di sconosciuti se stessa (perché la gravidanza non coinvolge solo un utero, ma l’intera persona) per far crescere nel proprio grembo un bambino non suo, ma: chi sono io per giudicare? Chi sono io per mettere in discussione l’affermazione di chi dice che lo ha fatto serenamente? Come posso pretendere di universalizzare il mio mondo morale ed emotivo? Impedire ad altri di fare quel che noi non faremmo mai è il primo passo verso uno Stato etico. La mercificazione del corpo – non solo delle donne – è un problema gigantesco della nostra società consumistica, ma non mi pare che si risolva vietando a una donna di disporre come vuole del proprio.

L’unico vero argomento contro la legalizzazione della surrogata sarebbe che si tratta di una scelta compiuta da determinate persone che però avrà conseguenze rilevantissime per una terza che non ha invece alcuna voce in capito: il bambino. Questo è l’unico vero argomento che va preso sul serio. È assodato che nel corso della gravidanza si crea fra il bambino e la donna che lo porta in grembo una relazione unica e per forza di cose insostituibile e non c’è anche dubbio che il contatto madre-figlio nelle prime ore dopo il parto sia fondamentale. L’idea che si programmi di mettere al mondo un bambino per portarlo via subito alla donna che lo ha partorito non mi lascia affatto indifferente e mi pone moltissimi dubbi. Resta il fatto che nessun bambino al mondo ha mai avuto voce in capitolo sulle condizioni della sua nascita e che i bambini sono sempre il frutto del desiderio (chiamatelo pure capriccio, se preferite) dei genitori. E anzi è proprio quel desiderio che garantisce ai figli di essere accolti con amore, mentre la mera possibilità fisica di avere figli, purtroppo, non lo è affatto

Cinzia Sciuto, giornalista, è attualmente redattrice della rivista “MicroMega” e collaboratrice di altre testate del Gruppo editoriale l’Espresso. Ha conseguito il dottorato in Filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma. http://cinziasciuto.blogspot.it/Animabella è il suo blog.