Come raccontare un rapporto tra due donne – una più grande, l’altra più piccola – che nel corso delle loro esistenze si sono ascoltate, ignorate, osservate, amate profondamente? Queste due donne sono una madre e una figlia, sono l’autrice e sua madre.

«E soprattutto: che cosa so, di te?». Con questo interrogativo – quello che forse ognuna di noi si pone sulla propria madre – Margherita Giacobino ci parla di Maria Grazia – «luce in tempesta», «bella», «solida», «imprescindibile» – a partire da una immagine fissata nella memoria, una foto che resta nitida e chiara in un tempo che sembra essersi fermato per sempre.

È un dialogo a senso unico quello che l’autrice inizia con sua madre, interlocutrice silenziosa ma presente in ogni pagina di un racconto che coinvolge, perché nella intimità, nel racconto della condivisione quotidiana della vita che scorre, nei non detti che sempre ci sono in una famiglia, ognuna può ritrovarsi e riscoprire che in fondo quelle domande sono sempre lì, per tutte. Perché è proprio il racconto del particolare rapporto tra le madri e le figlie a essere al centro di questo libro: urge sollevare il coperchio almeno per un istante, scrive l’autrice, per chiedersi ad esempio se i sogni dei genitori, quei sogni che ogni figlio porta inevitabilmente sulle spalle, siano un fardello o il respiro di orizzonti più aperti.

E sono orizzonti più aperti quelli che Maria Grazia offre a Margherita: la passione per la lettura e per la letteratura, l’etica del lavoro, il valore dell’onore commerciale, il senso di una vita semplice vissuta nell’assenza di lui, marito e padre distante, responsabile di aver gettato la sua famiglia sul lastrico.

«Non lo capisco. Troppo difficile per me» dice a un certo punto Maria Grazia, riferendosi alla vita amorosa di sua figlia; ma Margherita, agli occhi della sua compagna Federica, ha vinto la lotteria del destino, ottenendo il biglietto vincente che le ha dato una madre che invece tutto ha saputo capire, usando al momento giusto quel «passaporto del suo candore», segno di un’intelligenza che ha attraversato il ventesimo secolo, confrontandosi con le sfide politiche e sociali che le donne italiane hanno dovuto affrontare.

Un testo che, scrive Margherita a sua madre, è anche un monumento in suo onore, non un rigido manufatto in pietra ma un giardino vivo, con alberi che parlano nel vento con il suono della sua voce.

«Voglio parlare di te, del tuo modo di rimettere le cose in proporzione con un’occhiata, un mezzo sorriso. Del tuo sguardo su di me che mi chiede misura, mi infonde forza, mi lascia andare». Quanta intensità e quanta tenerezza in queste pagine, quanta forza in quel tu offertosi spontaneamente nella narrazione. «Tu per me sei il “tu” più antico e profondo – scrive Giacobino – ti parlo continuamente, il più spesso senza rendermene conto. Come si respira. E se c’è un tu ci dev’essere anche un io, perché così sono andate e vanno le cose nelle nostre vite, e anche oltre.»

Margerita Giacobino, Il tuo sguardo su di me, Mondadori 2021, pp. 188