Ogni secolo ha il suo destino.

Il XX° è stato contrassegnato da due guerre, dall’olocausto, dai totalitarismi. Tempi duri, con valori, usi e povertà simili alle epoche passate.

Poi si è aperto un periodo di pace apparentemente infinito, così come infinita sembrava la via del progresso e della modernità, non più minacciata da venti di guerra o di declino; un periodo durante il quale la vita di milioni di donne e uomini sembrava fiorire grazie a un crescente benessere, la certezza del lavoro (da scegliere e cambiare pressoché a piacimento), sotto la protezione di sempre maggiori tutele sindacali e previdenziali; uomini e donne di una generazione definita di “garantiti”, in quanto poteva vivere in relativa tranquillità le varie fasi della vita fino alla pensione.

Ma, come si suol dire, anche per quella generazione non è stato tutt’oro…

Quella che è stata infatti chiamata – per dirla con Serena Zoli – la “generazione fortunata”, con l’arrivo del XXI° secolo si è trovata ad affrontare un momento storico assai diverso; un momento che si è aperto letteralmente col botto: l’11 settembre e le sue Torri Gemelle e, riguardo all’Italia, i fatti di Genova e nuovi movimenti, tra cui i No global; il terrorismo. È dunque tragedia. A seguire, la crisi economico-finanziaria del 2007, il “contagio” di quella crisi ai debiti sovrani, nel 2011; infine la pandemia.

Il Covid ha di fatto amplificato le crescenti paure, in gran parte individuali, che il nuovo secolo aveva portato; paure che, attraverso la sfera economica e psicologica, da individuali finiscono ora per diventare problema e questione collettiva.  E in quanto questione collettiva, tutto ciò non può che diventare questione politica.

E’ proprio questo che cerca di raccontare – a nostro avviso, riuscendoci – Noreena  Hertz con il suo Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni Ed. Il Saggiatore. E lo fa a partire dalla sua esperienza diretta, che va da un colloquio di lavoro, dove lei stessa viene valutata da un algoritmo, all’affitto di un’amica del cuore, effettuato tramite un servizio online, con cui lei, un pomeriggio, andrà a fare shopping.

Quello che la Hertz ci racconta non è solo un sentimento di frustrazione, ma qualcosa di più profondo, che ha a che fare con un malessere sottile che si è insinuato dentro ognuno di noi, permeando ogni aspetto della nostra società. È una critica serrata al sistema di vita che abbiamo creato, un sistema che ci spinge a pensare egoisticamente, narcisisticamente solo a noi stessi, e che ci impedisce di vedere tutto il resto, ciò che realmente ci circonda, divenuto improvvisamente pericoloso e nemico. Nel chiedere a persone che frequentiamo come si sentono e cosa pensano di politici e istituzioni, rileviamo sempre più spesso, proprio a causa di questi nuovi smarrimenti, “scivolamenti” verso posizioni politiche estremiste, populiste e sovraniste.

Dietro un uso ossessivo, compulsivo e incontrollato dei social network, con i quali spesso si sfoga la propria rabbia, si cela di fatto la paura, un io che si occulta dietro una maschera, e crea un mondo parallelo, dove tutto si confonde e dove le ragioni degli altri finiscono per sparire.

Ma come è stato possibile, com’è potuto accadere che siamo diventati così soli e isolati? C’è qualcosa che dobbiamo fare per ritrovarci?  Su questo piò venirci in aiuto anche Hannah Arendt – la cui vita estrema, fatta di solitudine e profonde riflessione sulla condizione umana – ha scritto importanti pagine sul legame tra sradicamento, smarrimento e politica dell’intolleranza.

A questo punto è forse giusto fermarsi a pensare, e andare all’etimologia stessa della parola solitudine, per scoprire, incredibilmente, che solitudine ha la stessa radice di solidarietà e di solidità (dal greco òlos, cioè tutto); e che la solitudine ha a che fare con la solidità del tutto: una sorta di epifania del cosmo, ovvero dell’ordine delle cose. Sarà per questo che si usa dire che non si può stare soli se non si è solidi.  La pandemia ha fatto tante vittime, ma non è stato solo il Covid a portare malattia e morte. Nella perdita di una vita c’è la perdita, per chi se ne è andato, di tutto il mondo; ma nella solitudine c’è tutto.

È vero, come dice Eugenio Borgna che “la solitudine è l’anima nascosta e segreta della vita”, ma è altrettanto vero che oggi, “nel mondo della modernità esasperata e della comunicazione digitale”, grande è “il rischio di naufragare nell’isolamento”. La solitudine può dunque rappresentare una modalità per entrare in relazione con gli abissi della nostra interiorità; può essere un’occasione, forse l’occasione, per scendere lungo i sentieri più profondi di sé e per provare ad ascoltare le ragioni del cuore e dell’immaginazione. Ma per farlo bisogna restare vigili, perché il rischio di avvilupparsi nella solitudine e confondersi in un modo di essere solitari è dietro l’angolo, ovvero sempre presente.

Può infatti accadere che si è solitari non per scelta ma per costrizione; e può pure accadere di stare in compagnie altre, non umane, quando cioè si sceglie la compagnia di un animale, di un amico artificiale o semplicemente di un bosco, un giardino, un panorama.  Non a caso, per rappresentare una sorta di condizione oggettiva di isolamento, gli inglesi usano il termine “solitude”; mentre usano “loneliness”  quando si riferiscono ad un’esperienza esistenziale che coinvolge la propria interiorità.

Karl Jaspers parlerebbe di una situazione bordeline, di una spaventosa esperienza di sofferenza, di colpa, di destino, di lotta, dell’inaffidabilità del mondo, della morte. Situazioni di fronte alle quali gli esseri umani possono fare ben poco; situazioni sulle quali si può in qualche modo intervenire, ma che – come la malattia, la vecchiaia, la morte – non si possono cambiare, tanto meno abolire.

Forse è questo che fa della solitudine un “soggetto/oggetto” affascinante quanto ambivalente, su cui continuare a scrivere e pensare.

Noreena  Hertz, Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni, Il Saggiatore, 2021