Il libro a cura di Stefania Tarantino e Chiara Zamboni e dal titolo: Françoise Duroux. Il paradigma perturbante della differenza sessuale è un bellissimo e corposo testo, diviso tra una prima parte in cui ci sono tre saggi di Mirelle Azzoug, Chiara Zamboni e Stefania Tarantino che ci introducono al pensiero della Duroux, e una seconda costituita da un’antologia dei suoi scritti più importanti. C’è poi a fine prima parte una delicata e singolare biografia di Yves Duroux, che si chiama Di passione in passione, che, nel descrivere la gioia della sua compagna di vita nel coltivare le sue passioni, dimostra, cosa non scontata, tutta la sua compiacenza. Ne propongo la lettura a tutti gli uomini di “buona volontà”.

Attraversando i punti salienti della vita e del pensiero di Duroux ho rivissuto momenti e relazioni della mia storia passata. Abbiamo frequentato entrambe La Libreria delle donne di Milano, La Comunità Diotima di Verona e Il Seminario di Lecce sulla differenza di Marisa Forcina negli stessi anni; apparteniamo alla stessa generazione. Ho condiviso luoghi fisici, ma anche luoghi del pensiero e pratiche della Filosofa: dall’esclusa/ inclusa, all’atopia, dalla critica al Gender a quella della sociologia e della politica della parità. Mi accomuna anche la sua ostilità verso la “liberazione sessuale” come ennesimo ed estremo tentativo da parte maschile di ridurre noi donne ad oggetto sessuale.

Abbiamo la stessa concezione della Filosofia. Una filosofia che non può non partire dall’esperienza di vita e dalla differenza che Duroux traccia tra i professori e gli inventori di filosofia. Ella, infatti partendo dall’assioma secondo il quale, se non si entra “interamente nel pensiero”, non si può creare filosofia, erige a modello di filosofo/a Sarah Kofman, perché ha questa caratteristica comune a molte filosofe. I filosofi sono invece stati, per lo più, vittime di tante scissioni, da quella macroscopica di natura/spirito a quella più sottile tra desiderio/godimento. La loro filosofia è stata, e lo è tuttora, una maschera di qualcosa che si vuole assolutamente celare, rimuovere ossia: la differenza sessuale. Kofman ha riattraversato alcune concezioni della storia della filosofia “ufficiale” (soprattutto Comte e Rousseau), evidenziando proprio questo meccanismo di rimozione. Ma è stata giudicata irriverente e costretta a vivere ai margini dell’Accademia.

Kofman, “la filosofa solitaria”, perché esclusa e non riconosciuta, ha vissuto la stessa esperienza accademica di molte di noi, che hanno, però, trovato nella relazione con altre filosofe la forza di portare avanti il proprio discorso, partendo dall’altrove. A Kofman, che non riesce a tessere relazioni dal luogo dell’altrove, non resta che il suicidio, ossia ricalcare il triste destino di Virgina Woolf, sua ispiratrice. Chiara Zamboni, infatti, sostiene che Duroux include se stessa e Kofman nel cerchio delle “estranee,” una figura creata da Woolf per dire di che “qualità fosse l’indipendenza simbolica dal corteo degli uomini colti”. Tutto questo a dimostrazione che l’irruzione della differenza sessuale nella scena del sapere filosofico non è affatto pacifica, scompagina la struttura della disciplina, l’organizzazione dell’Università, come istituzione deputata a trasmetterla, e le istituzioni sociali. Duroux ha scelto la via più scomoda per praticare questo sapere, mettendosi in una posizione atopica, che è non solo il risultato di un’emarginazione, ma una posizione consapevolmente scelta. La mia amica Angela Putino avrebbe detto che Duroux ha scelto l’atopia come punto di avvistamento. Tarantino, nel suo saggio che ritroverete in questo libro, giustamente paragona Duroux a Putino, che ha criticato le politiche di parità, ma anche ogni tentativo di riduzione della differenza ad essenza, superando la logica binaria, che per certi versi è implicita nella stessa concezione di “simbolico materno” (Irigaray, Muraro, etc.) in opposizione al simbolico maschile. Entrambe le Filosofe, invece, lavorano sui dispositivi inaddomesticabili, che non possono essere vincolati né da legami sociali istituzionalizzati né da ogni altra negoziazione. Il conflitto tra i sessi, non potrà mai trovare una negoziazione definita una volta per tutte, perché le donne non sono una classe o un soggetto sociale. Giusto l’accostamento che fa Tarantino tra Duroux e Putino anche nell’affermazione radicale di una differenza “che non si trova nell’esser-donna, ma nell’irriducibilità di un sentire”. Un sentire il proprio perturbante, ossia le pulsioni più nascoste dell’inconscio. La differenza ha a che fare con il molteplice, non quello della l’uno/molti su cui si basa la filosofia occidentale, ossia con un’insieme che le riporta nel territorio dell’identità, ma un molteplice all’interno del quale vive la divergenza, la dislocazione delle singolarità, prese una per una. Le donne sono un insieme come gli infiniti molteplici irriducibili all’uno. «[ Le donne] ci sono, stanno insieme, ve ne sono “ancora” – ancora semplicemente, e non ancora una – si unificano, in un certo modo senza unità» (Putino). In questo loro divergente fluire insieme le donne sfuggono alla cattura da parte del simbolico fallocentrico, non possono farne parte, se non a costo di una cancellazione più forte della sventura stessa. Ed è per questo che ogni donna, facente parte di questa classe d’insiemi che sfugge al controllo del calcolo, è capace d’infinito. «Vi accade un infinito» (Putino).

Putino si rifà qui a Weil, ma nel suo pensiero ci sono anche Lacan e Foucault, Duroux invece si riferisce a Freud, un autore non popolare tra le femministe, dopo le stroncatura di Irigaray. Ella, però, interpreta certi accostamenti e definizioni della donna di Freud (“invidia del pene”, “isteria” e “masochismo”) come sue descrizioni di situazioni, oggettivamente date, dovute a condizionamenti culturali e sociali dell’epoca. Di Freud accoglie la concezione della asessualità originaria della libido che le dà la possibilità di evitare sia l’essenzialismo binario che l’indifferenziazione: la libido, la cui origine è neutra, si arricchisce in un secondo momento delle differenze sessuali. Per Duroux “Il Perturbante [Unheimlich] è la cifra della sessualità” (Zamboni) che non vive nell’immaginario ma nel fantasma che è costituito da pulsioni inconsce, pulsioni profonde che emergono dai sogni, convivono con la realtà, condizionando anche le scelte. “C’è un lato fantasmatico dell’esperienza che è il tessuto stesso delle sessualità (…). Lo stesso godimento femminile ha a che fare con il fantasma che ogni donna vive singolarmente” (Zamboni). Ed è perciò che non è possibile ridurre la differenza all’essenza maschile /femminile o al genere (Gender).

Il Gender è però una “password”, utile per evidenziare le discriminazioni di cui la donna nei secoli è stata oggetto, utile a certa sociologia per rappresentare la diseguaglianza tra i sessi anche nelle società complesse di oggi, ma tutto questo rientra nel registro della parità. La rivendicazione dei diritti non tocca il nucleo centrale del conflitto dei sessi, che è il perturbante, cerca solo di ammansirlo, smussarlo, normalizzarlo per renderlo compatibile.

Contro i legami sociali istituzionalizzati e la generica solidarietà del registro paritario, Duroux propone la Philia, ossia riammettere nello spazio pubblico il legame sociale originario che ci ha messo al mondo. La Philia che nella tragedia dell’Antigone di Sofocle non è “come di solito è tradotto, probabilmente abusivamente, con ‘amore’” (Duroux) ma che sta ad indicare già l’aspetto pubblico dell’amore. Per Duroux la trasformazione del patto sociale passa dal riconoscimento di Eros a livello di nomoi. Questo è il vero contenzioso intercorso tra Creonte e Antigone, che non si sintetizza hegelianamente in un conflitto pubblico/privato, dove la donna nella figura di Antigone viene ricacciata di nuovo nella sfera della famiglia. Antigone non relega Eros nei legami di sangue, ma lo pone a livello di nomoi, ne rivendica la cittadinanza a livello del registro pubblico della legge della città. Ed è questo che fa più problema a Caronte che «esasperato esclama: “Io vivo, non sarà una donna a comandarci” a “dettar Legge”» (Duroux).

La Philia rappresenta la dimensione aurorale delle relazioni umane. Questo pensiero incarnato non va più occultato, né “eluso”, perché “potrebbe allentare la resa del potere” che è “guerra” e “fallocratica potenza” (Tarantino ).

Niente di più attuale ora che è tornato a soffiare forte l’orribile vento della guerra, e l’Europa, più di ogni altro continente governata da donne, appare come un vaso di coccio tra i potenti della terra che mostrano i loro muscoli di acciaio. Bisogna che noi “donne d’amore” rafforziamo alla sua insegna i legami sociali, promuovendo a modello universale la Philia , che scardina le logiche del potere, un potere ottuso governato dall’odio che contiene in sé il germe dell’estinzione del mondo.

Francoise Duroux, Il paradigma perturbante della differenza sessuale. Una filosofia femminista, a.c. di Stefania Tarantino e Chiara Zamboni, Mimesis, 2021


Il libro verrà presentato lunedì 7 marzo 2022, alle ore 18 su Zoom.

Introduce Sara Bigardi

Ne parleranno Alessandra Pigliaru e Wanda Tommasi.
Saranno presenti le curatrici del libro Stefania Tarantino e Chiara Zamboni.

Per partecipare inviare una mail a: librididonnepaginedelmondo@gmail.com