Il libro curato da Liviana Gazzetta fa parte della Collana Effe. Scaffali del Femminismo, che intende rappresentare uno strumento per la conoscenza della riflessione prodotta dai movimenti delle donne in Occidente “scovando, ripubblicando e/o traducendo i contributi fondamentali dell’elaborazione femminista, a partire dal un primo femminismo a cavallo fra la fine del Settecento e fino alla fine della Seconda guerra mondiale”; evidentemente ci si riferisce lessicalmente ad un plurale del termine femminismo, cioè femminismi perché tante e diverse sono state le idee, le pratiche e i progetti politici; parlare di primo femminismo in Italia significa inevitabilmente intrecciarne la storia con il pensiero e le parole di Mazzini; in sintonia con questo progetto, l’Autrice, studiosa della storia dei movimenti femminili nell’Italia contemporanea, è già autrice di testi su personagge emblematiche della storia risorgimentale e post-risorgimentale, come quello dedicato a Giorgina Saffi Crawford; questo testo prosegue in un certo senso lo spirito della ricerca, essendo incentrato sul rapporto fra un teorico-rivoluzionario della portata di Giuseppe Mazzini e l’emancipazionismo che si fa sentire in un’Italia faticosamente diventata nazione. Nel lungo saggio che precede la sezione antologica con i brani scelti, alcuni poco noti anche per addette ai lavori, l’Autrice chiarisce con esattezza la finalità della ricerca prima e della pubblicazione poi: “Quest’antologia nasce proprio con l’intento di contribuire a dipanare tale questione, attraverso un’analisi, per quanto possibile approfondita, della riflessione politica che le esponenti mazziniane seppero sviluppare dopo l’Unità all’interno del primo movimento delle donne. Che si tratti di una vera e propria elaborazione politica pur in un contesto di cittadinanza dimezzata, oltre che di relativa povertà di strumenti culturali, è del tutto evidente …” (pp.14-5). A questa finalità, se ne aggiunge a mio parere una seconda non del tutto secondaria se riferita a Mazzini, che fino a non molti anni ha subito una seconda distorsione, vicina all’impoverimento. Presente nei libri di storia come l’Esule per definizione, immolato per l’intera sua vita sull’altare di un’Italia libera, unita e indipendente, è stato però poco valutato come teorico della democrazia, e poco studiato come Autore del Pensieri sulla democrazia europea; nel 1846, il direttore del londinese «The People’s Journal», uscito in quell’anno chiese di collaborare a Mazzini il quale inviò sei articoli sulla democrazia, Thoughts upon Democracy in Europe. In questo scritto afferma che “senza dubbio i democratici hanno una propria finalità, una grande bandiera … il progresso di tutti per opera di tutti. Sfortunatamente nel partito democratico ciascuno di noi ne ha strappato un brandello e lo sfoggia con orgoglio … il suffragio, il progresso dell’industria, il miglioramento dell’organizzazione sociale, tutte queste cose non sono la Democrazia, non sono la causa per la quale ci siamo impegnati, sono i suoi mezzi, le sue parziali applicazioni o conseguenze. Il problema che vogliamo risolvere è un problema educativo; è l’eterno problema della natura umana”. Confrontandosi in presenza e a distanza con i tanti esuli londinesi sulle teorie politiche esplose nell’Ottocento, principalmente il socialismo con le sue tante anime e il comunismo nella declinazione marxista, Mazzini delinea i contorni della democrazia sostanziata dal progresso, dall’uguaglianza, dall’istruzione, non tralasciando necessariamente il futuro ruolo delle donne. Mazzini non è uno scandaloso riformatore dei costumi sessuali come i sansimoniani e Fourier, ma di certo, come scrive l’Autrice, in Mazzini la riflessione sulla funzione femminile nella famiglia occupa un posto centrale, con la sua tesi sulla complementarità dei sessi. “Negando la contrapposizione fra cielo e terra propria della tradizione cattolica, Mazzini ritiene che la famiglia sia un santuario non meno della città e della nazione e che in essa le donne debbano svolgere una fondamentale missione educativa” (p.23).

Il primo brano dell’antologia, a firma di Gualberta Alaìde Beccari, fondatrice e direttrice de «La Donna», insostituibile punto di riferimento delle più avanzate opinioni femminili non solo italiane sui temi dirimenti della cittadinanza sostanziale, s’intitola Per l’autonomia morale delle donne, con una forte eco mazziniana. Difficilmente molte lettrici italiane in quegli anni avrebbero potuto conoscere l’esistenza dell’attivismo pacifista di Maria Goegg, lodata dalla Beccari, presidentessa della Lega Internazionale della Pace e della Libertà; le madri avevano un ruolo fondamentale: inculcare nei loro figli i veri principii politici, come la pace, che implicava i destini dell’umanità. Il tema che affiora non solo qui, ma costantemente, è quello della madre-cittadina, citato dall’Autrice e studiato recentemente anche da Rossella Bufano, con gli opportuni distinguo fra madre cittadina mazziniana e madre italico-fascista.

Come è noto, Mazzini è stato supportato in Inghilterra e in Italia da un circuito femminile prima che teorico, concreto e operoso. Ma un ruolo attivo hanno avuto in Italia anche le ‘straniere’ sostenitrici della causa risorgimentale sposate a italiani, come la già citata Giorgina Crawford, coniugata con Aurelio Saffi, e anche Jessie White, sposata ad Alberto Mario, nota anche come l’infermiera sul campo delle spedizioni garibaldine. Tutt’altro che semplici apologete. L’Autrice riporta nel libro un articolo della White, Contro un sistema di norme formulate da soli uomini, riferito alla prostituzione, argomento ‘indicibile’ per la morale dell’epoca, tratto dal suo studio di carattere sociologico valido ancora oggi, come sottolinea giustamente Liviana Gazzetta, La miseria in Napoli, del 1877.

Decisamente fra i nomi meno noti, quello di Marcellina Ravioli, insegnante elementare della provincia pavese, aderente alla Fratellanza repubblicana di Milano; «La Donna» riporta un discorso da propagandista dell’emancipazione, in cui Liviana Gazzetta rintraccia una chiara coscienza dell’uso strumentale della famiglia a favore del tornaconto dell’uomo. Poco noto è anche il nome di Maria Mussa Ferraris, la quale, come ricorda l’Autrice, era nata in una famiglia di umili origini e pertanto presto impiegata in un laboratorio di sartoria; principale organizzatrice del primo sciopero delle lavoratrici dell’ago nel 1883, mostra come “il mazzinianesimo abbia innescato processi di consapevolezza e autonomia femminile non limitati ai ceti borghesi (p.143)”.

Della stessa Beccari, un articolo in particolare dedicato a due temi che fanno parte ancora oggi del dibattito femminista e politico: s’intitola Parità di retribuzione e tutela della maternità, che dimostra se mai ce ne fosse bisogno, la centralità e l’attualità delle riflessioni femministe.

Liviana Gazzetta (a cura di), Femminismo mazziniano un’idea di emancipazione nell’Italia post-unitaria (1868-1888), Tab Edizioni, Roma 2022. pp. 183, euro 16,00.