«Quello che mi interessa analizzare […] è il modo in cui l’ “essere grassi” è stato usato come indice di assenza di status sociale e come è stato assimilato alle questioni di etnia, classe e genere […] perché la dimensione del corpo è connessa al “diritto di appartenenza”, al “privilegio di adesione”?

A queste e altre domande cerca di rispondere FatS hame. Lo stigma del corpo grasso, il libro di Amy Erdman Farrell pubblicato in Italia da Edizioni Tlon e in uscita il prossimo 4 novembre, con l’ immagine di copertina realizzata da Belle di Faccia, progetto femminista e associazione italiana per la Fat Acceptance e la Body Positivity, che ha curato anche la prefazione.

Interessante l’approccio di ricerca al tema da parte dell’autrice, nata a Cleveland, in Ohio, esperta di studi culturali e femminismo, docente di Gender studies al Dickinson College di Carlisle, in Pennsylvania. L’esplorazione storica dei legami tra corporatura, nozioni di appartenenza e status sociale – ci spiega – fornisce elementi per comprendere la cittadinanza in età contemporanea. La connessione tra fisico e cittadinanza – il buon cittadino ha un corpo giusto e “civile” – assume un rilievo particolare in una società come quella statunitense nella quale – aggiunge ErdmanFarrel – la letteratura popolare e anche quella scientifica affermano che il corpo degli americani mette gli Stati Uniti più in pericolo di altri fattori di natura economica, politica o ecologica.

Il libro cerca quindi di analizzare il silenzio intorno al tema del body shaming, partendo dalle origini dell’idea contemporanea di grasso e analizzandone la narrazione culturale nel mondo occidentale ma anche gli incroci con le diverse diramazioni del femminismo; obiettivo è ridiscutere questa narrazione e rivendicare la legittimità ma anche i diritti e l’identità delle persone grasse.

«Forse i tempi sono maturi anche qui per discutere dello stigma sui corpi grassi – scrivono le donne di Belle di faccia nella prefazione all’edizione italiana – e se è questo il momento, questo è il libro che stavamo aspettando.»