Questo è un libro che avrei volentieri regalato a Franca, per i temi che le interessavano, lo sguardo umanitario e di genere e la bellezza delle fotografie, la forza delle intervistate nel contesto violento e oppressivo della quotidianità sahrawi nei campi profughi a Tindouf (Algeria) e nel Sahara Occidentale. Il libro esce per volontà e finanziamento di Adriana Pini, in ricordo della figlia, Roberta Silocchi (esponente del mondo del volontariato reggiano e appassionata sostenitrice dei diritti del popolo del deserto), che con Caterina Lusuardi (impegnata nella lotta antimafia e in progetti educativi e teatrali), ha operato per conto dell’Associazione Jaima Sahrawi.

Alla base della questione geo-politica e delle rivendicazioni del popolo Sahrawi c’è il Sahara occidentale appartenente alla loro tradizione nomade e passato da colonia spagnola a territorio controllato dal Marocco con le armi (1975) e separato dalla Mauritania da un muro di fango, minato, di circa 2800 chilometri, detto muro della vergogna, tragico come tutti quelli innalzati nel mondo ma poco conosciuto e dimenticato. A nord est del muro, l’area algerina di Laâyoune è la capitale proclamata della Repubblica dei Sahrawi; a est, i territori del Fronte Polisario.

È una delle tante realtà in cui radicano guerre di cui si sa poco o niente. Perso il plurisecolare nomadismo, il popolo Sarhawi rischia la perdita culturale, perciò l’Associazione Jaima Sahrawi, nata a Reggio Emilia, ne sostiene l’autodeterminazione e nei campi interviene con iniziative socio-sanitarie, interculturali, di tutela dei diritti, aiuti umanitari, mediazione politico-istituzionale in cerca di soluzioni pacifiche.

Le interviste, biografie “incomplete, frammenti che accostati uno all’altro, danno un quadro completo del periodo storico che qui si vuole narrare” ricostruiscono e divulgano la memoria individuale e collettiva, la scelta della lotta non violenta come forma di rispetto universale, amplificando “la voce di un popolo attraverso lo sguardo delle donne che dichiarano al mondo intero la loro situazione.”

Es. Amina: Sotto il colonialismo spagnolo, la vita delle donne nel Sahara Occidentale era una vita da beduine, eravamo analfabete e non c’erano mezzi d’informazione, A un certo punto abbiamo scoperto che la vita poteva non essere così e abbiamo cominciato a manifestare contro gli Spagnoli e poi contro i Marocchini. Nel 1970 ci fu l’intifada di Zemia, cui partecipai. Gli Spagnoli avevano preso Bassiri, il nostro prima attivista sarawi desparecido, e le donne furono le prime a manifestare, cucivano le bandiere (…) Gli Spagnoli volevano le materie prime ma erano i Sahrawi a scavare (…) Con l’invasione (marocchina), io sono stata tra le prime ad arrivare ai campi (…); ho avuto tre mariti, morti in guerra, ho sposato solo uomini che combattevano per il nostro popolo e per l’indipendenza (…); anche le donne ci sono andate. All’inizio pensavamo che il cessate il fuoco e la Minurso (ONU) potesse aiutare ma non è stato così. (p. 28)

Es. Nguia: “Siamo attiviste sahrawi, ex prigioniere per aver partecipato alla protesta di Gdeim Izik. Volevamo andare in Sud Africa per una riunione sulla gioventù sarhawi, eravamo sessanta persone all’aeroporto, siamo state arrestate solo noi due.” (p. 64).

Es. Nana Nah, Segretaria generale della wilaja di Smara dell’Unione Nazionale delle Donne Sahrawi (1974), parla dell’opera dell’Unms “nei campi profughi per garantire tutti i diritti, sviluppare la loro coscienza, permettere una maggiore partecipazione alla vita sociale all’inizio, nei campi, gli uomini non erano presenti perché erano in guerra e le donne facevano tutto.” (p. 34)

L’istantanea delle donne Sahrawi “tenere e resistenti” s’accompagna alle vicende di una terra preda di colonialismi, guerre, sfruttamento umano e della natura. Ogni capitolo rende graficamente e iconograficamente un itinerario delle co-Autrici, i luoghi e i modi dell’incontro e l’impegno preso ed eseguito con il cuore. Ampia documentazione: es. Carta Atlantica, Risoluzioni dell’ONU, legislazione.

Le interviste, in assanya (d’origine araba), sono state tradotte in spagnolo o francese, quindi all’italiano. Speciali ringraziamenti a: Associazione Sahrawi delle vittime delle gravi violazioni dei diritti umani (ASVDH); Forum avenir pour la femme saharaouie (FAFESA); Collettivo dei difensori Sahrawi dei diritti umani (CODESA); Saharawi Association of Victims of Serious Human Rights Abuses Committed by the Moroccan State (ASVDH).