Nella presentazione che Letizia Tomassone, pastora della Chiesa Valdese e docente presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma, fa del libro a cura di Élisabeth Parmentier, Pierrette Daviau e Lauriane Savoy La Bibbia delle donne. Venti teologhe rileggono i passi controversi dei versi sacri, colpisce il richiamo alle riflessioni del premio Nobel per l’economia Amartya Sen sulla relazione che esiste tra libertà personale e bene sociale. Un tema, quest’ultimo, trattato dall’economista non solo nel suo celebre La disuguaglianza: un riesame critico, ma ripreso anche nel 2009 in un lavoro sull’idea di giustizia nel quale afferma, a proposito di uguaglianza e libertà, che «l’interrogativo cruciale non è se vi sia qualche sfera in cui non possiamo fare a meno dell’uguaglianza, ma piuttosto: “uguaglianza di che cosa”?»

A interrogativi di questo tipo hanno provato a rispondere le studiose raccolte intorno a questo importante progetto. Obiettivo: «una bibbia commentata dalle donne, una bibbia per le donne che però non dimentica gli uomini», sul modello della sfida che nel 1895 il comitato di donne suffragiste guidate da Elizabeth Cady Stanton lanciò ai difensori dell’interpretazione tradizionale dei testi sacri attraverso la pubblicazione di The Woman’s Bible.

Oltre un secolo dopo studiose di diversa formazione e provenienza geografica tornano sui temi del corpo, degli attributi e dei ruoli di genere, e analizzano la bellezza, il pudore, la verginità, la sterilità, le rappresentazioni della sottomissione e della spiritualità attraverso la valorizzazione degli studi diretti sul testo della Bibbia. Solo così – evidenzia Tomassone – è possibile cogliere il messaggio di liberazione che il Vangelo porta con sé.

Questa nuova prospettiva interpretativa lascia emergere la complessità delle figure più significative delle sacre scritture: le storie di Marta e Maria, Maria Maddalena, ma anche Rut, Sara, Abigàil, Rebecca e Betsabea, Ester mostrano che «la dimensione divina che attraversa le donne apre soglie impensate, di eccesso, le porta fuori di sé e dai ruoli attribuiti al femminile.»

C’è poi una “ventunesima” autrice nel libro, un capitolo è infatti scritto con la collaborazione di tutte le studiose e tratta delle interpretazioni e delle contraddizioni della “sterilità feconda”. Il saggio è firmato da Priscille Fallot-Durrleman, Chritine Jacquet – Lagrèze, Martine Millet e Danièle Ribier, e restituisce la riflessione di tutte su un tema sociale sempre più sentito, che chiama in causa importanti questioni di bioetica. La riflessione sulla sterilità nella Bibbia ha rivelato la limitatezza di alcuni assunti che la vedono come una maledizione divina. La sterilità non è una maledizione divina, spiegano le studiose, ma qualcosa che può essere accettato e sublimato. Fin dove è lecito arrivare? – si chiedono – «Ognuno, uomo o donna, deve trovare in sé la sua vocazione di essere umano, il suo progetto, la strada da intraprendere per passare dalla procreazione all’incarnazione della parola, dalla genealogia umana alla filiazione di figlio di Dio.»

Una proposta forte, che mette in discussione il concetto di incarnazione e che mostra che attraverso la storia delle donne nella Bibbia «non occorre rifiutare la Bibbia se siamo femministe, come non c’è bisogno di rifiutare il femminismo se siamo cristiane. Quello che conta è saper leggere…con perspicacia e spirito di ribellione.»