Ogni cosa a suo tempo! Il libro di Stefania Tarantino, “Chiaroscuri della ragione. Kant e le filosofe del Novecento”, nel secolo appena trascorso non sarebbe stato possibile, per una esponente del Pensiero della differenza. Ma è passato tanta acqua sotto i ponti da quando in Italia con la Comunità di Diotima noi filosofe della differenza, ancora in erba, avevamo chiuso i libri di storia della filosofia, i classici ma anche i testi dei nostri contemporanei, tutti monotonamente di maschi, per attingere dalla nostra esperienza viva e dalla nostra mente sgombra da codici preordinati, il pensiero sorgivo dell’essere-donna. Ma, anche quando abbiamo cercato di guadagnare alla nostra causa le filosofe-donne che ci hanno precedute, eravamo pronte a sottolineare più ciò che le distingueva dai filosofi che quello che le accomunava. Ma, ora, nel tempo in cui tanto sapere femminile si è sedimentato, non corriamo più il rischio di essere omologate, e il riflettere sui rapporti di donne-filosofe con autori maschili è più una manifestazione di forza che di debolezza.

Sarebbe facile individuare solo nel Kant della Critica del giudizio oppure nel Kant dell’affermazione delle Libertà, dei Diritti e della Pace punti di contatto con queste filosofe europee che hanno respirato l’aria culturale e politica della costituzione dei Diritti Universali dell’Umanità. Invece è nel cuore della struttura epistemologica antimetafisica che Tarantino coglie la vicinanza/lontananza di queste giganti del pensiero del ‘900 con Kant, ricostruendo un passaggio di storia della filosofia importante: questo è il maggior pregio del libro.

Kant, il fautore della “rivoluzione copernicana”, il filosofo che ha rotto i vincoli con la metafisica e fondato l’autonomia della ragione come fonte della libertà, e che attraverso le sue Critiche ha aperto un campo, proprio mettendo dei limiti alla ragione “razionalista”, non poteva non essere un interlocutore. La scissione tra fenomeno/noumeno lascia al pensiero femminile del ‘900 uno spazio ampio e autonomo dove poter trovare la radice del proprio filosofare. Non si tratta più del limite della visione greca, come circoscrizione e contenimento del “perfetto”, ma è quel limite che segna il suo rimandare ad altro da Sé. Queste filosofe si sono attestate sul limite, non per spostarsi all’infinito, come l’irraggiungibile linea dell’orizzonte della trascendenza jaspersiana (Umgrefeinde), ma per sostare su un interstizio, come fa la Weil, nel sopportare la lacerazione dei contraddittori, o per attingere attraverso una crepa l’essenziale che sosta nel fondo (Hersch), o per trovare un’oasi nel deserto (Arendt), o, infine, per aprire un vuoto che fa spazio alla libertà (Zambrano). Aver separato il fenomeno dal noumeno ha comportato il portare alla visibilità tutto il mondo sotteso della trascendenza dalla materia allo spirito, dalla sensibilità a Dio; ha dato la possibilità, a queste filosofe, di squarciare il velo di Iside per attingere il pensiero alla sue radici, accedere alla sorgente della creatività che la luce della ragione razionalista dissolve nel suo chiarore accecante e che solo nella penombra può nascere e alimentarsi.

Certo, dopo Irigaray, Muraro, Putino (tanto per fare dei nomi), non abbiamo più bisogno di questa interlocuzione. Attestarsi sulla divisione fenomeno/noumeno sarà considerato per noi donne filosofe della Differenza una perdita di tempo: questa scissione non è altro che un raddoppiamento della realtà, un artificio maschile per nascondere il taglio del legame con la propria origine materna. Il partire da sé anche nel campo filosofico segna la vera nascita del Pensiero della Differenza: ma questa è un’altra storia ancora tutta in fieri.

 

“Chiaroscuri della ragione. Kant e le filosofe del Novecento”, Guida Editori, 2018