La fase economica che attraversiamo ha prodotto il consolidamento dello svantaggio imposto alle donne a livello globale: in Italia le donne subiscono licenziamenti e, ancora, gli effetti dell’inoccupazione che al sud si presenta come un dato strutturale. L’Italia in tutti i rapporti basati sulla proporzione numerica tra uomini e donne occupati e sul gap retributivo per genere occupa tra gli ultimi posti in Europa, dove comunque lo svantaggio lavorativo è largamente di segno femminile.
Non ci meravigliano quindi se l’insistenza con la quale si presenta la prostituzione come sbocco lavorativo, e parimenti e non ultima la maternità surrogata a pagamento, voglia essere la risposta con la quale la politica tenta di riempire le incapacità strutturali a sostenere l’autonomia economica femminile.
Sappiamo anche che la voluta incapacità del sistema economico a riconvertire i propri meccanismi in base alle urgenze umane e ambientali risponde al rafforzamento del dominio patriarcale, la qual cosa ci pare non debba trovare alcuna sponda nel movimento dei lavoratori. Ci pare inoltre che, a dispetto delle presenze femminili – numerose – ai vertici dei sindacati, in questo momento abbia sempre maggior peso (di fronte ai non nuovi e trascurati diritti delle donne) la pressione delle lobbies maschili che organizzano il consumo di sesso a pagamento e sfruttano le povertà di donne, spesso costrette dalle famiglie stesse, indotte a vendere pezzi del loro corpo.
I diritti non negoziabili delle donne, come dettati dai protocolli internazionali, devono essere posti al centro del recupero di credibilità di tutta la politica, anche di quella sindacale, per questo non ci basta comunicare la nostra indignazione per le aperture della CGIL verso pratiche come il sex work e GPA, ma chiediamo quindi una chiara presa di posizione di contrasto a queste pratiche che corrispondono a una riedizione della schiavitù femminile.

UDI di Napoli, Associazione Salute donna, Arcidonna, Resistenza femminista
15 giugno 2019