Articolo pubblicato da Rossella Catanese  su AlfaBeta2

Fotogramma di Quasi una tangente (Massimo Bacigalupo, 1966). Bologna, Archivio Aperto 2018. Courtesy Archivio Home Movies e Massimo Bacigalupo.

Si è tenuta a Bologna, dal 30 novembre al 3 dicembre, la rassegna Quasi un ’68 / Almost ’68, programma dedicato al cinema d’artista nell’ambito dell’edizione 2018 di Archivio Aperto, ampio festival annuale di Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, dedicato al cinema amatoriale in formato ridotto.

 

Il caso di Quasi un ’68 / Almost ’68, sezione curata da Jennifer Malvezzi, Mirco Santi e Paolo Simoni, risulta di particolare interesse perché connota l’espressione di una nuova sezione di Home Movies, denominata Art and Experimental Film, che identifica altre varietà di materiali filmici raccolti dall’archivio. All’interno di questi materiali, infatti, convergono ampie e complesse questioni di ricerca storica e riflessioni sulle formule espressive, su protocolli di archiviazione e restauro, sulla curatela nel lavoro di esposizione e fruizione di un patrimonio estremamente peculiare ma d’indubbio valore artistico.

Il cinema in formato ridotto (quello delle pellicole cosiddette substandard come 8mm, Super8, 16mm) rappresenta un patrimonio audiovisivo sotterraneo e alternativo che l’archivio Home Movies mira a valorizzare attraverso spazi espositivi, proiezioni performative e installazioni mono e multicanale, spesso abbinandovi spazi di discussione e di studio, con una finalità di ricerca esplicita anche negli eventi di disseminazione aperti al pubblico.

La manifestazione su cinema sperimentale e d’artista schiude dunque in un’altra chiave di lettura una vocazione dell’archivio dedicata alle forme più complesse della scrittura cinematografica, al di fuori del cinema “ufficiale”, verso una marginalità dichiarata che diviene linguaggio a sé. Dunque, anche le scelte curatoriali ed espositive ricalcano questa formula rizomatica, che si disloca nella scelta di molteplici sedi (il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, la sede di Home Movies presso l’Istituto Parri, la Galleria d’Arte de’ Foscherari, la Biblioteca Italiana delle Donne, la Galleria d’Arte P420, Raum e la Cineteca di Bologna) e di molteplici autori, tutti nel segno della produzione sperimentale, dai registi indipendenti, Massimo Bacigalupo, Gianni Castagnoli e Tonino De Bernardi, agli artisti Valentina Berardinone, Fernando De Filippi, Andrea Granchi, Arnaldo Pomodoro, Franco Vaccari.

Le opere di quest* filmmaker e artist* esplorano formule espressive che mirano ad ampliare i paradigmi della produzione cinematografica e artistica e della fruizione spettatoriale, in particolare nella dimensione di un’idea di cinema “espanso”. La definizione di “Expanded Cinema” coniata dagli statunitensi Gene Youngblood e Stan VanDerBeek pone l’accento su un’idea di de-materializzazione del medium, influenzando anche le pratiche sperimentali europee, tendenti alla riflessione sulla specificità mediale, ma spesso concretizzate nell’ambito delle arti visive e nei circuiti delle gallerie d’arte, in una concezione debitrice dell’esperienza delle avanguardie storiche. Non è un caso, infatti, che alcuni tra i nomi più celebri del cinema sperimentale italiano degli anni Sessanta convergano con i fenomeni artistici delle neoavanguardie. Si tratta degli anni della contestazione, quelli che permetteranno l’articolarsi di un cinema militante e di un’identità politica, ma sono anche momenti di grande innovazione nella ricerca identitaria della cultura visuale italiana, che si radica nella volontà creativa di nuove forme di esperienza sensoriale ed estetica.

L’artista/filmmaker sperimentale è libero di operare fuori dagli schemi quando usa e manipola pellicole di piccolo formato; egli determina i parametri di trattamento dei materiali, rivendicando un’intimità con la materialità della pellicola che giunge ad intersecare la ricerca formale con la propria dimensione personale e privata. Una dimensione estremamente complessa, che include le forme più eterogenee di espressività e differenti fortune editoriali: film non finiti, film perduti, film di cui si è dimenticato l’ordine di sequenza. Come Il quadrato (Tonino De Bernardi, 1972), diario intimo della vita familiare dell’autore in cinque lunghe bobine, prive di un ordine determinato, forse solo dimenticato. È qui che si impone la volontà curatoriale, in una scelta competente concordata con l’autore stesso: il film è infatti presentato come un’installazione in una sala dedicata, “espandendo” le visioni, i ritmi delle immagini in movimento, i suoi valori iconici e formali, in una rappresentazione degli stati di coscienza e dei meccanismi interiori della percezione. In questo ambito, il cinema d’artista, la sperimentazione cinematografica e le immagini degli artisti al lavoro segnano un territorio dai confini molto labili: vediamo all’interno della rassegna anche le immagini di Arnaldo Pomodoro a Berkeley, ritrovate presso l’archivio della Fondazione Pomodoro, presentate parallelamente al film d’artista Shaping Negation (Francesco Leonetti, Ugo Mulas e Arnaldo Pomodoro, 1970), in cui le pratiche di documentazione ricorrono a supporto della ricostruzione dei processi creativi dell’opera degli artisti e della loro storia culturale ed espositiva.

Fotografia dell’installazione del film Il quadrato. Definizione di spazio (Tonino De Bernardi, 1972). Bologna, Archivio Aperto 2018. Courtesy Archivio Home Movies e Tonino de Bernardi.

Il seminale Quasi una tangente (Massimo Bacigalupo, 1966), film che capovolge il senso di riproducibilità del cinema nella direzione di un’esperienza unica con gli spettatori, è stato restaurato da Home Movies e presentato in questa rassegna in formato 16mm. La stessa operazione è stata effettuata sul racconto odeporico di La nott’e’l giorno (Gianni Castagnoli, 1976), che elabora una riflessione in bilico tra rappresentazione e configurazione creativa, testimonianza artistica e storica di un’epoca di utopie radicali. Radicali e sotterranee, citando Nei sotterranei (Franco Vaccari, 1967), corrispettivo filmico della poesia visiva esperita dall’autore, che attiva un personalissimo rapporto tra testo e immagine, anche questo presentato in anteprima per la sua riedizione in 16mm.

La scelta del ritorno in pellicola mira a recuperare sia il rapporto con il medium sia un’etica del restauro cinematografico secondo princìpi filologici. Infatti, secondo Paul Read e Mark-Paul Meyer (Restoration of Motion Picture Film, Buttherworth & Heinemann, Oxford, 2000) il restauro cinematografico consiste nelle procedure tecniche, editoriali e intellettuali tese a compensare la perdita o il degrado degli artefatti filmici, portandoli ad una condizione il più possibile vicina a quella originaria, mantenendone il più possibile il formato originale. Le modalità strutturali della comunicazione mediale sono fortemente legate alla natura specifica del medium, ai suoi formati, al supporto che ne veicola le immagini. La grana, il dettaglio, i giochi di luci e ombre, il potere espressivo di un’immagine impura sono tra gli elementi del patrimonio audiovisivo che Home Movies restaura, recupera e riutilizza. Le copie d’archivio dei rari film di Valentina Berardinone mostrate alla rassegna combinano le ricerche sullo spazio e sulla superficie del lavoro visuale e il linguaggio della lotta femminista; così nei lavori di Fernando De Filippi e Andrea Granchi la ricerca verso un’idea di militanza politica passa per la scelta della pellicola come linguaggio d’arte.

È proprio in questa complessità di linguaggi, di obiettivi, di strategie estetiche che l’approccio curatoriale di Home Movies definisce una valorizzazione; Quasi un ’68, citando il titolo del film di Bacigalupo, si propone come una riflessione alternativa sull’anno della grande contestazione politica italiana nel suo anniversario, cinquant’anni dopo. Nell’interpretazione proposta da Home Movies, questa produzione cinematografica e artistica condivide con il movimento politico del 1968 affinità elettive e vocazioni comuni, sebbene non una totale adesione. In quel “quasi” c’è proprio l’esplicita apertura della proposta curatoriale di Malvezzi, Santi e Simoni, le cui ricerche universitarie esaminano queste prospettive attraverso le metodologie degli studi di cinema, di archeologia mediale, di storia dell’arte, di storia culturale. Un’apertura teorica, che rimanda agli stessi princìpi filologici del restauro cinematografico, come la reversibilità degli interventi, il trattamento peculiare dei formati amatoriali e sperimentali, la rielaborazione di materiali e apparati obsoleti.