Al Bois de Boulogne, a Parigi, agli albori del ‘900 quando si presentarono con la bicicletta e in tenuta da cicliste secondo il canone dell’epoca pantaloni larghi a sbuffo, camicia comoda, fiocco elegante al collo, cappellino di paglia con intorno un nastro colorato, tutti a guardarle stupiti, tutti a disapprovarle, tutti a scuotere la testa… Un grande oooooh di stupore e disapprovazione le accolse.

Ebbene, una sparuta, ma solo momentaneamente sparuta, pattuglia di donne osava, caparbiamente, indossare comodi pantaloni, oggi diremmo alla zuava, montare sul sellino e guidare una bicicletta, pedalare!

C’è al Museo Carnavalet, firmato da Jean Beraud, un quadro dal titolo “Le chalet du Cycle au Bois de Boulogne” datato 1900. Eccole lì, immortalate su una tela, le coraggiose signore!

Sembrava niente, eppure fu tanto!

Jean Béraud (1849-1936). “Le Châlet du cycle au Bois de Boulogne”. Huile sur bois. Paris, musée Carnavalet.

Una mossa che scardinava più di un luogo comune. Usare la bicicletta, naturalmente, comportava un cambiamento a cominciare dall’abbigliamento. Occorreva vestirsi in modo adeguato per guidarla. I pantaloni? Certo che servivano i pantaloni! Lasciate che ci ridicolizzino per il nostro vestiario. Noi andiamo avanti con coraggio. La controversia richiese qualche annetto ma alla fine vinsero loro: le intrepide cicliste!

E come dimenticare la bellissima, bravissima Séverine nome d’arte, Caroline Rèmy nome vero. Nata a Parigi nel 1855 sposa un uomo che la lascia dopo 5 mesi. E’ incinta e traumatizzata per le violenze domestiche e sessuali subite in casa. Attende con impazienza che la legge si pronunci a favore del divorzio non solo per lei ma per tutte le donne.

Si impegna in varie battaglie ed è autrice di 600 articoli. E’ conosciuta in Francia perché è la prima giornalista professionista.

Sì, è a donne come lei, oggi dimenticata, che dobbiamo molto!

Intanto, figure di donne diverse, “nuove”, si affacciano sulla tela. Ecco, per esempio, Natalie Clifford Barnet (1876-1972) dipinta da Romaine Brooks (1874-1970). La incontriamo, sempre al Museo Carnavalet, “Femme de lettre” e troviamo, scritto in fondo, “dit l’Amazone 1920”. E diversi anni dopo eccola immortalata da una fotografa, Marthe Bray, che capeggia da sopra un’automobile d’epoca un gruppo di donne di “Azione femminista”.

Intanto la scultrice Camille Claudet si impegna in un audace campo artistico: la scultura e lo fa con grinta e innegabile talento.

Sono sempre di più le donne che si rivelano impazienti di intraprendere un’educazione artistica, di poter avere un atelier dove dipingere liberamente, dove avere saloni specifici che accolgano il loro lavoro impegnandosi a diffonderlo.

Nella Parigi fine 800 sono molte le donne che desiderano ed ottengono di emergere nel settore dell’arte e della cultura oltre che nel lavoro. Desiderano accedere al mondo che verrà. Vogliono altro: sì, desiderano mischiare le carte. Mascolino? Femminino? Dipende dai casi. Neutro, rivendicano molte di loro. E Romaine Brooks dichiara che è il solo genere che conviene sempre. E Rose Zehner si fa in quattro e quattrotto paladina delle lavoratrici della Citroen. Indossano pantaloni, giacca e cravatta. I capelli li tagliano corti. Così Saffo si sposta da Militene e sbarca a Parigi. E’ la capitale francese il centro di raccolta delle ribelli che vogliono sgonfiare la morale puritana, scombinare l’ordine patriarcale. Così le donne si ritrovano in un locale Monocle. La Parigi notturna celebre ha così il suo tempio femminile dove le signore si lisciano i capelli corti, à la garconne.

E concludiamo ricordando le nostre “Bellezze in bicicletta” immortalate sullo schermo nel 1951 da Delia Scala, Franca Marzi e Silvana Pampanini che interpreta anche l’omonima canzone diventata, in breve tempo, il tormentone dei salotti e delle balere degli anni cinquanta.

Una_scena_del_film__Bellezze_in_bicicletta_- 1951