L’11 febbraio si è aperto a Reggio Emilia, in Corte d’assise, il processo per l’omicidio di Saman Abbas. Sono imputati 5 familiari della ragazza: lo zio, due cugini, il padre e la madre di Saman. Questi ultimi non sono in Italia, il padre è detenuto in Pakistan, la madre è attualmente latitante. Saman Abbas aveva 18 anni, fu assassinata e sepolta in una buca presso un casolare diroccato a Novellara, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, dopo aver rifiutato un matrimonio forzato. 

All’esterno del palazzo giustizia, la mattina dell’apertura del processo, molte associazioni, a partire da Non una di meno, hanno manifestato per chiedere giustizia per Saman.

E sono circa 20 le associazioni, gli enti e le organizzazioni no profit che hanno chiesto di essere ammessi come parti civili nel processo. Come ha scritto Trama di Terre, associazione di donne native e migranti di Imola, tra le associazioni che hanno deciso di costituirsi come parte civile, tutte le risorse devono essere messe in campo per prevenire i matrimoni forzati e i femminicidi che avvengono quando le ragazze si ribellano a questa pratica: occorre ” “per gridare che è necessario mettere in campo tutte le risorse per prevenire i reati di matrimoni forzati e i più gravi reati di femminicidi che possono conseguire alla ribellione delle ragazze, per “sostenere la libertà delle donne e rivendicare i loro diritti.”

L’associazione, attiva a Imola dal 1997, ha pubblicato guide operative per comprendere e contrastare il fenomeno dei matrimoni forzati e ha accolto anche ragazze che scappavano dalle imposizioni delle famiglie che, con i matrimoni forzati, mettono in atto una vera e propria discriminazione sessuale ai danni delle ragazze.