“I mistici passano in punta di piedi per il loro tempo, il rumore del mondo non li sente ma poi risuona come un fragore nel cuore delle persone che sono in condizione di ascoltarli” (Kierkegaard)

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa D’Avila

Impossibile afferrarla. Già è molto sfiorarla. Più crediamo di avvicinarci più svanisce. Più tentiamo di capire più si occulta. Brucia la sua intensità. Non riusciamo a vedere in maniera nitida. Percepiamo. Non abbiamo la pretesa di svelarla. Come potremmo? C’è timore a scrivere di Lei. Vorrà Lei farsi visibile? Come un’alba è sempre sul punto di fuggire.

In Teresa d’Avila l’io narrante delinea l’io narrato.

Teresa scrive ogni volta che può in situazioni anche scomode. Scrive con foga come pervasa da un’ossessione. Al centro della sua opera un io narrante ben deciso a farsi comprendere dai suoi lettori, Teresa li conquista come in parlatorio conquistava i suoi interlocutori. Mette in atto le sue strategie “comunicative”. Una scrittura coerente, determinata, densa che si presenta con un tono spigliato, spontaneo, istintivo come se Teresa volesse parlare a tu per tu con il suo lettore.

Teresa non corregge, prosegue, se non è soddisfatta riprende il discorso e lo amplia, lo rettifica, torna indietro per andare avanti, cerca altre strade come in un viaggio… (del resto, la scrittura, non è anch’essa un fascinoso viaggio?)

La seduzione, per chi legge, sta in questi tentennamenti improvvisi, in questo dire e ritrarsi, in questa sua prorompente voglia di farsi ascoltare, in questo ordinato disordine…

Teresa si rompe due volte il braccio destro. Una monachella scriverà per lei… Il viaggio dentro la scrittura non si arresta mai.

Si è appropriata della parola scritta (che perdura nel tempo) e del movimento. Da uno spazio chiuso, il convento, a uno spazio aperto – il mondo – tramite le Fondazioni.

Il piacere della scoperta, l’avventura…

Anche Lei parte e lo fa un po’ prima de “El ingenioso hidalgo don Quixote de la Mancha” (1604).

Teresa fonda conventi in ogni parte della Spagna. Osa fondare anche conventi maschili.

E’ in atto la grande Rivoluzione copernicana.

Va in pezzi il vecchio edificio del sapere teologico medievale.

Da una parte l’apparato ecclesiastico si riorganizza, dall’altra irrompono sulla scena religiosa i grandi Mistici: Teresa e Giovanni della Croce.

Essi rivendicano una religione più personale, il Dio dei cuori contro il Dio dei dogmi. Al centro della loro esperienza umana e spirituale il dialogo diretto e libero con Dio.

Il  viso di Teresa è coperto da un velo. Il velo come un sipario. Uno schermo che rende la realtà più rarefatta, più distante… (come nella miopia).

Nei viaggi, chiusa nelle tende dei carri, ascolta e annusa… le erbe aromatiche… l’odore dei campi dopo la pioggia… lo scalpiccio degli zoccoli dei muli… le imprecazioni dei mulattieri… le grida dei venditori ambulanti…  lo schioccare delle fruste… il cigolio dei carri… le sonagliere al collo dei muli… lo scroscio dei fiumi… il vento… il traballare dei carri… il vociare della gente nei paesi… il saluto dei viandanti…

E poi c’è la fame, il freddo, l’afa, le punture degli insetti…

E intanto, dentro i carri, con lievità Lei e le monache intonano il mattutino…

Splendore dei sensi la statua del Bernini a Roma…. D’accordo!

Ma Teresa in sé è barocca.

Barocca l’esplosione mistica, barocca l’eloquenza, barocca la vertiginosa fantasia, barocca la dismisura…

Come erano belle le campagne d’Andalucìa…

Così giallo il sole così gialle le spighe di grano… Tutto le appariva giallo, anche gli alberi anche le case anche le torri… un mare di giallo.

Il caldo era soffocante. Da parecchio tempo non era caduta pioggia, e l’acqua mancava dappertutto. Nell’interno dei carri non si respirava. In certe ore pareva di essere chiusi in un forno.

Lo strapazzo… l’afa… l’arsura… Lei aveva avuto la febbre alta. Eppure   Teresa e le consorelle ridevano e cantavano.

Due giorni prima avevano passato il Guadalquivir… La zattera che portava i carri prese la corrente di sbieco. Quelli che  reggevano la corda se la lasciarono sfuggire, la zattera si trovò coi carri in balia del fiume.

Le suore si misero a pregare. Gli altri a gridar forte. Da un castello vicino stava guardando un signore il quale, mosso a compassione, mandò delle persone ad aiutarle. In quel momento la barca aveva ancora la corda ma la violenza del fiume la trascinava e la zattera si incagliò, provvidenzialmente, sopra un banco di sabbia. E quando il salvataggio fu ultimato era notte. Impossibile proseguire il cammino al buio senza una guida. Le aiutò uno degli uomini mandati da quel signore cortese.

L’uomo era uno strano tipo, prima ne disse più che ne poté contro frati e monache, poi si scusò e le condusse verso la città.

Ma tutto questo è nulla a paragone di quello accaduto a Cordova.

La mattina di Pentecoste, erano partite prima dell’alba con uno scopo preciso: arrivare in chiesa dove celebrare ed ascoltare la Messa, prima che si radunasse intorno a loro un codazzo di curiosi. All’alba, infatti, il corteo di carri e mule si mise in moto verso il ponte romano per passare il fiume. Purtroppo non era permesso attraversarlo con dei carri senza il beneplacito del governatore.

Giuliano d’Avila corse a chiedere questo permesso, ma naturalmente a quell’ora la casa di Sua Signoria era immersa nel sonno. Bussa e ribussa, nessuno udiva, poi, anche dopo che il portone fu aperto, fu necessario aspettare.

Molti popolani furono attratti dall’apparizione dei carri chiusi e da quei viaggiatori che venivano da lontano.

 “Chi siete?” domandavano. Silenzio. Qualcuno per la curiosità sollevò un lembo della tenda del carro e vide una doppia fila di monache coi loro grandi mantelli bianchi e i veli neri calati sui visi. Restò trasecolato.

I popolani di Cordova non avevano mai visto delle monache.

Intanto Giuliano d’Avila ritornò sbandierando il permesso.

Quando arrivarono sull’altra sponda, videro una chiesa e pensarono che sarebbe stato meglio ascoltare la messa.

Stava per calare la sera e la popolazione si trovava numerosa ad attendere sulla piazzetta, tanto più che si trattava di una solennità. Teresa ebbe un moto di sgomento e immaginò i commenti al loro apparire: la sua preoccupazione era tanto forte che pensò che sarebbe stato meglio evitare la folla e rinunciare ad ascoltare la messa. Ma Giuliano giudicò il contrario e “siccome egli era teologo”, le suore ubbidirono.

Teresa scostò un lembo del tendaggio e da quell’apertura ad una ad una le suore scesero. Nella folla vivace, andalusa, si produsse un rimescolio.

Teresa ebbe un tuffo al cuore, tanto che la febbre le passò di colpo.  I rumori… il chiasso… i colori… gli odori… le risate… i canti… le grida…tutto era così forte, così intenso… era frastornata e nello stesso tempo non poté far altro che dire a se stessa… ah la vita, la vita, la vita, la vita!