Recensione di Lidia Guadoni da Solo libri

Il peso dell’inchiostro Neri Pozza 2018  pagine 701 –  € 9,99 Traduttore: A. Zabini

Rachel Kadish è l’autrice pluripremiata dei romanzi From a Sealed Room e Tolstoy Lied: a Love Story, così come il romanzo I Was Here. Il suo lavoro è apparso su NPR e sul New York Times, Ploughshares e Tin House, ed è stato antologizzato in Antologia del Premio Pushcart e altrove.
È stata compagna di fiction del National Endowment for the Arts e del Massachusetts Cultural Council, ha ricevuto il National Jewish Book Award, l’Association of Jewish Libraries Fiction Award e il John Gardner Fiction Award ed è stata la Koret Writer-in- Residenza presso la Stanford University.
Vive fuori Boston e insegna nel programma MFA di Lesley University in Scrittura Creativa.

Ambientato in Inghilterra nel 1660 e nel 2000, Il peso dell’inchiostro (Neri Pozza), l’ultimo romanzo dell’americana Rachel Kadish, è il racconto intrecciato delle vite di molti personaggi, fra i quali spiccano due donne: Ester Velasquez, ebrea, emigrata col fratello, dopo la morte dei genitori, da Amsterdam – dove viveva nella stessa comunità che scomunicò Spinoza – a Londra, dove viene accolta dal rabbino HaCoen Mendes, cui farà da copista firmandosi con la lettera ebraica «aleph», e Helen Watt, studiosa di storia ebraica, malata e ormai giunta al termine della sua carriera accademica.

Siamo a Londra, nel novembre del 2000. Helen Watt, una cattedratica della facoltà di Storia dell’Università, è stata contattata da un suo ex studente per verificare il valore di una serie di documenti ebraici risalenti al diciassettesimo secolo scoperti in un’antica dimora a Richmond, durante i lavori di ristrutturazione. Con l’aiuto di Aaron Levy, un affascinante specializzando americano, e in competizione con un altro gruppo di studiosi, la donna intende concludere la propria attività analizzando la preziosa testimonianza legata alla rifondazione della comunità ebraica espulsa per quattro secoli dal suolo inglese e, dopo la sconvolgente scoperta dell’identità dello scriba, Ester Velasquez, una giovane ebrea, ricostruirne la vicenda umana e di appassionata studiosa di testi ebraici e filosofici.

Man mano che Helen e Aaron traducono, in una situazione di semi isolamento, i documenti ritrovati – contabilità della casa, fatture delle legatorie, sermoni, copie della corrispondenza del rabbino e le relative risposte… – risulta sempre più evidente il loro coinvolgimento nella storia di questa donna: un’orfana che scrive lettere per il rabbino cieco che l’ha accolta e ne ha alimentato l’intelligenza e la curiosità, ben conscio che avrebbe dovuto assolvere a ben altri compiti:   Comprendiamo bene che i copisti istruiti sono pochi nella comunità londinese. E’ un deserto di ignoranza quello che dissodate, allievo per allievo, e può darsi che nessuna famiglia ebraica di Londra abbia un figlio che conosce le lingue necessarie. Eppure la giovane Velasquez è in età da matrimonio, quindi sarebbe solo assennata gentilezza non opprimerla con doveri e pensieri che superino le sue capacità.

La narrazione si alterna dunque tra il procedere delle scoperte di Helen e Aaron, la cui collaborazione obbligata manifesta all’inizio numerosi screzi e divergenze, e la storia della donna del XVII secolo che, con l’inganno, ha scritto quegli stessi documenti.

In essi emerge la vita quotidiana di Ester con il rabbino e con l’anziana serva Rivka, sopravvissuta ai pogrom polacchi, leale e dotata di un’intelligenza e di una determinazione senza tempo; l’amicizia di Ester con Mary, figlia di un ricco mercante ebreo, dal carattere solo apparentemente infantile e superficiale; il diffondersi della peste e il tentativo di sopravvivere alla malattia mantenendo la propria fede di fronte ai londinesi che incolpavano del contagio gli ebrei…

Nonostante la presunta mancanza di interesse per qualsiasi forma di romanticismo e di legame con l’altro sesso, diversi sono gli uomini che hanno provato un forte sentimento per la giovane copista o che, più semplicemente, l’hanno “voluta” come moglie, comprendendo solo in parte l’entità del pericolo provocato dalle sue azioni, non ultima, la corrispondenza segreta con le menti più feconde di quel periodo, per approfondire temi filosofico-religiosi sulla natura di Dio, sul significato della passione o del martirio…

Nel finale, non privo di colpi di scena, il futuro dei protagonisti non è più oscuro, bensì appare ben illuminato dalla consapevolezza: Con quanto dolore era stata condotta a comprendere, attraverso il fuoco e la febbre, le morti altrui e la propria, allontanata dalla vita che combatteva in lei per perpetuarsi.Tuttavia, in quel momento si rese conto di non aver mai pensato di chiedere perché. E comprese che quella era la ragione: l’acqua che la costringeva ad aprire la mano, la corrente che le baciava le dita; era quello a tenerla in vita: un sussulto di piacere.

La bellezza di questo romanzo non risiede solamente nelle vivide immagini di tempi e luoghi diversi, che prendono vita attraverso i minuziosi dettagli descritti in una prosa erudita ed elegante, intima, ma di vasto respiro e sempre accessibile. Si trova, soprattutto, nella varietà dei personaggi e delle loro storie, che rimandano ad altre storie, distanti secoli, eppure così simili: a dispetto di una distanza di oltre trecento anni, queste vicende sono legate una all’altra.

Aaron Levy, che accantona il progetto di una tesi – priva di qualsiasi possibile sviluppo –, sul rapporto fra Shakespeare e la comunità ebrea, per seguire le ricerche con Helen, è confuso e incerto sul ruolo che si sente imporre e sul suo avvenire. E’ consapevole però del fascino che esercita sulle donne e che non esita ad usare per scopi personali. Ciò che lo turba, oltre al ricordo del padre rabbino e alla natura della sua collaborazione con una professoressa malata e anch’essa senza alcuna prospettiva, è la questione irrisolta con una giovane studentessa, Marisa, partita per Israele.

Il corso della vita di Helen Watts è stato determinato da un uomo conosciuto, amato, ma abbandonato, quando, in gioventù, era stata per alcuni mesi volontaria in Israele, negli anni successivi alla guerra di indipendenza, e aveva dovuto lottare contro le incomprensioni e i pregiudizi dovuti al suo essere inglese “non ebrea”.

Il frutto di questo sentimento represso è, come per Ester che porta su di sé il peso di una storia familiare fatta di scandali e passioni represse, un isolamento autoimposto concentrato sull’amore per lo studio e per l’apprendimento.

Mai un titolo è stato più calzante: Il peso dell’inchiostro è uno degli esempi più riusciti di romanzo storico, in cui la combinazione di eventi realmente accaduti e la fervida immaginazione dell’autrice ha dato vita ad una storia plausibile, in cui ogni frase, ogni parola, ha una sua consistenza, un “peso” non indifferente.

Nel descrivere il dramma degli ebrei fuggiti dal Portogallo, prima ad Amsterdam e poi a Londra, con particolare attenzione alla condizione femminile, e nel tratteggiare la vita di due studiosi contemporanei, Rachel Kadish ci invita a riflettere sulle scelte e sui sacrifici che le donne hanno dovuto compiere – e compiono tuttora – nel lungo e difficoltoso cammino verso l’emancipazione, per conciliare sentimenti e ragione, i moti del cuore e la sete di conoscenza.