di Antonella Nappi

Leggendo Pretorius e ripensando alla discussione all’agorà del lavoro, la frase: “La crescita non è naturale ma tumorale” mi rincuora del dispiacere che mi fanno tutti gli acquisti di prodotti elettromagnetici e il loro funzionamento a onde radio che arreca, con le stazioni di ripetizione necessarie, gravi problemi alla salute pubblica. Spero a breve di trovare la forza di parlarne da qualche parte.

Qui mi è più facile ragionare di un altro argomento emerso: della gratitudine di chi è nutrito.

Ricordiamo di aver “ ricevuto “, quando vogliamo, e l’amore che abbiamo per alcune persone è stato costruito da questi doni anche se ci sembra spontaneo. Io sono consapevole di ricevere dall’esistenza del mondo, dalla popolazione della mia città, dall’amministratore del mio condominio, dal sindaco e dagli assessori del mio comune, dalle amiche che mi pensano e che fanno. L’essere “garantite” da una persona, da un contesto, da una norma, dalla sensibilità umana a cui ci dovessimo rivolgere, qualche volta l’abbiamo sperimentato e qualche volta lo ricordiamo o lo riflettiamo, è un esperienza di libertà e di gratitudine assieme. Non sento dipendenza ma libertà e gratitudine, sono due azioni, io sento due potenze in me.

Quello che voglio sottolineare della socializzazione che si riceve da bambini e da adulti, dei doni come degli obblighi, delle opportunità, è l’aspetto valorizzante la nostra azione (quando quell’aspetto c’è ).

Il desiderio di dare, che è un desiderio di fare, mi sembra caratterizzi il vivente di ogni specie e l’umanità ad ogni età. Si muovono le piante interrelandosi al contesto, sperimentano i cuccioli e si organizzano gli adulti. Fare per se e dare agli altri è tutt’uno, è una sola azione. Libertà è sentirsi potenti, non sto dicendo onnipotenti ma capaci di qualche cosa: di stare al mondo, di interrelarsi, di provare piacere; sono tutte azioni. Così come l’ascolto silenzioso, l’essere presenti all’altro, il provare sentimento d’amore, anche il chiedere aiuto.

Riconoscersi come fonte di capacità e di elargizione ci è necessario, essere riconosciuti come esistenti: vivi, attivi è ciò che chiediamo; riconoscere gli altri nel loro desiderio di partecipare, di fare, di donare è dare a loro libertà. La dipendenza è il contesto globale e particolare ma l’accento io credo vada messo sulla attività.

Pur di fare, uomini e donne possono alienare le loro forze in imprese inutili o dannose (gli esempi può farli chi legge); pur di essere riconosciuti come agenti, possiamo immolarci a ruoli massacranti. C’è un piacere nella relazione attiva con gli altri e nella produzione di qualsiasi cosa, un riconoscimento di se e degli altri automatico nella sua duplicità che comunque ripaga.

Insomma voglio dire che non è questione di riconoscere d’essere dipendenti dalla cura di altri ma di ragionarne il valore e muoversi a curare: il valore delle cose nasce dal conoscerle, dallo sperimentarle, si impara a fare e così a valorizzare quelle azioni. La mia pretesa è che la cura venga obbligata: insegnata, ripartita.

Remunerata con denaro? Anche! Vediamo, ma intanto affermiamo che è doppiamente necessaria: per chi cura e per chi è curato. Anche i padri di famiglia esercitavano o esercitano la cura assumendo il compito economico mentre la donna assume quello della presenza ma questi compiti non andavano divisi, è indispensabile ricomporli e obbligarne la ricomposizione con tutte le azioni possibili, essendo avvedute anche nella ripartizione per età che non deve escludere nessuno. L’alternanza dei ruoli aiuta a sviluppare senso critico, a paragonare quello che fai in ogni campo con il senso che ha per te e per gli altri, a interrogarsi sull’utilità di quello che produci. Produrre cura richiede un enorme tempo che va sottratto e composto con le altre attività che ciascuna e ciascuno desidera praticare. “Dare rappresentazione adeguata della cura” diceva Pretorius intendendo teorica, certo, a questo si accompagna l’illustrarla come metà delle notizie, delle immagini, dei racconti, ma soprattutto io penso sia dare esperienza adeguata della cura a tutti!

La relazione come misura del fare al posto del denaro?” è stato un interrogativo. So dire soltanto che bisogna riconoscere il valore che cerchi per te nella relazione con l’altro e l’altra, certo Il valore di poter dare quello che l’altra persona chiede; il piacere di comprendere un altro soggetto (anche un oggetto) con il sentimento di apprezzarlo che ti ritorna. Il piacere di essere compresi. Il piacere di imparare e divenire più capaci. Il piacere di sentirsi interrelate con una propria misura, di sapere che l’altra governa la sua.

C’è stata nella mia vita l’esperienza d’essere portata dove non volevo andare dalla forza di alcune relazioni o d’essermi cacciata in situazioni di illibertà per sentirmi interrelata, così ho imparato a valutare il fatto di avere più ambiti e opportunità di relazione, e sempre un spazio solitario nella mente da recuperare come garanzie della propria libertà. Anche le istituzioni, le norme, le leggi, e le persone che fanno ciò che io non farei, le vedo come risorse che creano la mia libertà.