Il 14 novembre a Roma, presso la Sala Aldo Moro, Camera dei deputati, è stato presentato il rapporto ‘Voci dalle periferie’ di Weworld

Due indagini realizzateuna quantitativa con Ipsos su esigenze, priorità e stereotipi di genere nei quartieri periferici di Torino, Milano, Roma, Napoli, Cagliari, Palermo e una qualitativa tra le donne in contatto coi i nostri progetti nei quartieri di Scampia, San Basilio, Giambellino e Borgo Vecchio, dove emerge che una su due ha subito violenza domestica, spesso di fronte ai propri figli.

Due le anime del rapporto che mira a fare luce sulle periferie d’Italia come tema non solo urbano, ma soprattutto sociale e di empowerment delle comunità locali: l’indagine quantitativa realizzata con Ipsos su un campione rappresentativo nazionale, per genere ed età, di 650 cittadini maggiorenni residenti nelle periferie di sei città: Torino, Milano, Roma, Napoli, Cagliari, Palermo (ad esempio nei quartieri di San Salvario, Villapizzone, Centocelle, Scampia, Pirri, Borgo Vecchio) e una qualitativa con interviste in profondità a 37 donne entrate in contatto con WeWorld Onlus nei quartieri di Scampia, San Basilio, Borgo Vecchio e nelle periferie milanesi.

Nell’indagine di Ipsos emerge che a percepire maggiormente la presenza di una qualche forma di violenza nei confronti dell’altro sesso sono gli uomini: 19% contro il 10% delle donne. Questo dato è parecchio significativo perché nella domanda posta agli intervistati si parla della violenza più prossima, non nel quartiere in generale, ma nel proprio palazzo, o in quello accanto.

Mi ha trascinato fuori dalla macchina per picchiarmi. Davanti alle bambine. La grande ha visto sempre tutto. Me l’ha devastata”. Spiega Lucia (nome di fantasia), di Palermo, 35 anni e 2 figlie, una delle testimonianze raccolte nelle interviste qualitative dove, invece, una donna su due racconta di aver subito violenza domestica, spesso di fronte ai propri figli.

Queste due evidenze messe a confronto ci dimostrano ancora una volta la vastità del sommerso rispetto al problema della violenza sulle donne”, ha dichiarato Marco Chiesara, Presidente di WeWorld Onlus. “Sappiamo, ce lo dice l’OMS, che la violenza sulle donne non è legata a condizioni economiche, status educativo e sociale, ma è altrettanto dimostrato che in alcuni territori, dove emarginazione sociale ed economica coesistono con modelli famigliari patriarcali, la violenza è talmente diffusa da non essere nemmeno riconosciuta dalle vittime stesse, soprattutto quando si tratta di forme più sottili di violenza, come quella economica e psicologica.

Il fatto che siano gli uomini a percepire maggiormente la violenza è significativo perché potrebbe essere indice di poca consapevolezza da parte delle donne: il lavoro fatto sul campo negli anni al

fianco delle donne ci ha dimostrato, infatti, come, attraverso un percorso di empowerment e consapevolezza, questo sommerso riesca a venire, gradualmente, allo scoperto”.

presentazione

Non solo di violenza domestica o assistita si parla nel rapporto ‘Voci dalle periferie’ che fotografa una fetta d’Italia con esigenze e priorità che non coincidono con quelle del sistema-Paese. Secondo Ipsos i problemi nazionali sono legati principalmente all’occupazione e l’economia(76%), Istituzioni (37%) e immigrazione (36%). Queste problematiche non trovano un riscontro speculare nelle periferie dove i problemi di quartiere, secondo gli intervistati, sono diversi e legati per il 51% alla mobilità, il 34% all’ambiente, inteso come gestione del verde e spazi pubblici, rifiuti e pulizia delle strade, il 20% all’occupazione ed economia, il 17% alla sicurezza.Un quadro in controtendenza rispetto a quanto traspare nei discorsi pubblici e nell’agenda politica nazionale, dove le priorità delle periferie sembrano essere sicurezza e immigrazione.

Dal punto di vista del lavoro, l’indagine fotografa una situazione critica, soprattutto per le donne. Rispetto alla media nazionale del 49,7%, già grave considerando che l’Italia è penultima in Europa per l’occupazione femminile, nelle periferie lavora solo il 42% delle donne. Dato che scende al 32% per le intervistate qualitative, nelle periferie più disagiate. La fascia maggiormente esposta ad una condizione di non soddisfazione per la propria condizione è quella delle giovani 18-34 anni (44%) e delle donne residenti al sud (44%) dove, con tutta probabilità, la «scelta» di essere casalinga cela un certo grado di frustrazione e preoccupazione dovuta al non riuscire a trovare lavoro.

Nelle parole delle intervistate, i motivi per cui non lavorano o hanno smesso di lavorare sono prevalentemente due: la difficoltà di trovare un’occupazione continuativa e non precaria e quella di conciliare la cura dei figli con una professione. Tra coloro che vorrebbero lavorare, gli ostacoli prevalenti riguardano la gestione dei figli: molte donne esprimono il desiderio di voler trovare un impiego, ma mostrano un certo scetticismo nella possibilità di riuscire a conciliarlo con la cura della famiglia.

 

La mancanza di libertà è un elemento comune in quasi tutti i racconti delle interviste qualitative: “ero praticamente barricata in casa”; “dentro casa mi metto il vestitino. In casa si, con le finestre chiuse però. Fuori mai. A lui non piace”, “Mi torceva il braccio se io decidevo di comprare per pochi spicci una stoffa per fare un copriletto”, sono alcune delle testimonianze raccolte che sottolinenano un’assenza di libertà data dalla scarsa intraprendenza delle donne, da una poca conoscenza del territorio al di là del proprio vicinato e dal pressante il controllo esercitato dai mariti e dalle famiglie.

Il lavoro di empowerment fatto con le donne delle periferie dei nostri centri – ha continuato Marco Chiesara – ha portato come primo risultato una maggior consapevolezza e il riconoscimento della violenza subita, insieme alla voglia di chiedere aiuto e fuoriuscire dalla propria condizione”. Gli Spazi Donna che WeWorld Onlus ha attivato nelle periferie rappresentano contesti di vitalità dove poter ritrovare una socialità altrove assente. “I nostri spazi – continua Chiesara – rappresentano contesti dove le donne possono fuoriuscire da uno stereotipo che le vede relegate al ruolo di madri e mogli per riscoprire l’esigenza di sentirsi anche, e soprattutto donne, con una dignità e un diritto a essere rispettate, contro qualsiasi atteggiamento sessista”.

Clicca qui per leggere il rapporto completo.

Vi proponiamo anche l’articolo  scritto da Simona Rossitto uscito il 14 Novembre 2018 su Alley Oop l’Altra metà del Sole

 

“Mi metteva le mani al collo, piuttosto che dare un calcio alla sedia e farmi volare dalla sedia o graffiarmi, mi tirava, mi voleva far uscire dalla macchina perché me le voleva dare, mi sbatteva a terra”. Tutto questo avveniva davanti agli occhi della figlia grande, “la piccola, per fortuna, era troppo piccola”. A raccontare è Lucia, di Palermo, 35 anni, separata con due figli.  Le sue sono parole pesanti come macigni, parole che suscitano rabbia e che sono il grido di aiuto proveniente da una delle periferie d’Italia. Una delle voci di donne raccolte da We World, onlus impegnata da vent’anni nella difesa di donne e minori in Italia e nel mondo, nel rapporto presentato oggi alla Camera dei deputati sulla situazione delle periferie, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre.

I racconti di queste donne che vivono in quartieri come Borgo Vecchio di Palermo o Scampia di Napoli, dimostrano come  alla base delle violenze fisiche c’è molto spesso  una matrice culturale, un assetto patriarcale della famiglia condito da stereotipi in linea con questa mentalità. Alle donne, soggetti passivi, non vengono forniti gli strumenti culturali prima di tutto per comprendere la violenza, soprattutto quella psicologica ed economica, che sperimentano fin dall’infanzia, e che spesso è anticamera di quella fisica. I dati lo spiegano meglio di tante parole. A percepire maggiormente la presenza di una forma di violenza nei confronti dell’altro sesso sono infatti gli uomini: 19% contro il 10% delle donne. Forse le donne sono talmente assuefatte da non notarla, forse hanno paura, timore delle conseguenze della loro presa di coscienza.

Il rapporto “Voci di donne dalle periferie” analizza le periferie non tanto come quartieri lontani dal centro, ma come zone di degrado, dove regna una mentalità arretrata e ci sono minori servizi sul territorio. “Quello che emerge e che si conferma – spiega Stefano Piziali, responsabile Programmi Italia di We World – è che le donne che vivono nelle periferie subiscono la violenza economica e psicologica in modo inconsapevole perché non hanno gli strumenti culturali per caprie. Crescono in un contesto impregnato dalla cultura patriarcale”. Nel rapporto ‘Voci dalle periferie’, ci sono in particolare due indagini realizzate: una quantitativa con Ipsos su esigenze, priorità e stereotipi di genere nei quartieri periferici di Torino, Milano, Roma, Napoli, Cagliari, Palermo (parliamo cioè di San Salvario, Villapizzone, Centocelle, etcc..),  e un’indagine qualitativa condotta tra le donne in contatto coi progetti di  WeWorld Onlus a Scampia, San Basilio, Giambellino e Borgo Vecchio. Da quest’ ultima indagine  emerge che una donna su due ha subito violenza domestica, spesso di fronte ai propri figli. “Queste due evidenze messe a confronto ci dimostrano ancora una volta la vastità del sommerso rispetto al problema della violenza sulle donne. Sappiamo – ha dichiarato Marco Chiesara, Presidente di WeWorld Onlus. “che la violenza sulle donne non è legata a condizioni economiche, status educativo e sociale, ma è altrettanto dimostrato che in alcuni territori, dove emarginazione sociale ed economica coesistono con modelli famigliari patriarcali, la violenza è talmente diffusa da non essere nemmeno riconosciuta dalle vittime stesse”

Le donne delle periferie sono anche donne che lavorano meno della media. Rispetto al dato nazionale del 49,7%, già basso considerando che l’Italia è penultima in Europa per l’occupazione femminile, nelle periferie lavora solo il 42% delle donne. Percentuale che scende al 32% per le intervistate nelle zone più disagiate.  Anche nella ricerca di un rapporto di lavoro pesa la cultura patriarcale respirata dalle donne fin dall’infanzia. Dice Anna, 44 anni e tre figli, di Napoli: “A gestire la casa è più adatta la moglie..gli uomini non li vedo con mazza, pezza e secchio…L’uomo è meglio che sta fuori casa”. E Rosaria aggiunge. “A me piace lavorare, però se un domani ho un bambino devo fermarmi, è normale”. Nelle parole delle intervistate, i motivi per cui non lavorano o hanno smesso di lavorare sono infatti prevalentemente due: la difficoltà di trovare un’occupazione continuativa e quella di conciliare la cura dei figli con una professione. E tra coloro che vorrebbero lavorare, gli ostacoli prevalenti riguardano proprio la gestione dei figli.

Dalle interviste si nota poi la mancanza di libertà della donna. E il passaggio, sottile, dalle violenza psicologiche, basate sul controllo e la privazione della libertà, a quelle fisiche: Dice Rosaria, 21 anni: “dentro casa mi metto il vestitino. In casa sì, con le finestre chiuse però. Fuori mai. A lui non piace”, Continua Marina, 47 anni di Roma: “C’erano tanti piccoli segnali che piano piano sono usciti fuori…. Mi torceva il braccio se io decidevo di comprare per pochi spicci una stoffa per fare un copriletto”.

Ma un filo di speranza c’è, e nasce dalla presa di consapevolezza da parte delle donne delle proprie potenzialità. We World ha avviato nel 2014 il Programma Spazio Donna per prevenire la violenza maschile attraverso percorsi di empowermen dedicati alle donne e per fornire una rete di supporto per le donne fuoriuscite o in procinto di fuoriuscire da situazioni di violenza. “Il lavoro di empowerment fatto con le donne delle periferie dei nostri centri – afferma  Chiesara – ha portato come primo risultato una maggior consapevolezza e il riconoscimento della violenza subita, insieme alla voglia di chiedere aiuto e fuoriuscire dalla propria condizione”.