La relazione introduttiva di Rosanna Marcodoppido all’incontro fra Udi nazionale e Comitato promotore di Senonoraquando, svoltosi a Roma l’1 ottobre presso la sede nazionale dell’Udi sul tema “Insieme perché – insieme come”. L’intervento sarà pubblicato anche sul sito nazionale dell’Udi.{{“Noidell’Udi Noi con le donne”}}

Per cercare di spiegare il mio punto di vista sull’argomento che ci vede oggi riunite ho scelto di fermarmi a considerare il senso che ha per me {{lo slogan che identifica il XV Congresso dell’Udi}}, perché in esso credo di poter trovare le risposte giuste alla domanda su perché e come una Associazione come la nostra può stare o non stare in una rete nazionale di donne.

Ci sono {{due “noi” in questo slogan }} da considerare e comincio dal primo.

Il {{Noidell’Udi}} parla a me di un soggetto collettivo con una storia lunga 66 anni che ha attraversato diversi contesti storici e personali, un soggetto nutrito da passione, fatica, emozioni passate di generazione in generazione alla ricerca di una misura femminile della politica per restituire dignità e libertà alle donne e costruire altri punti di vista, altri modelli di relazione tra i generi, una società compiutamente democratica, insomma una nuova civiltà umana.

Anche quando {{all’inizio}} la contiguità con i partiti del movimento operaio finiva col diventare dipendenza, le donne dell’Udi hanno cercato di affermare, pur tra ambiguità e ambivalenze, una loro {{autonomia nei contenuti e nelle forme}}. Penso alla raccolta di firme per la pace e contro la bomba atomica, tre milioni nel 1948, alla lunga fila di donne, solo donne, che a Ginevra andarono a consegnarle; o alla consultazione su maternità sessualità e aborto che coinvolse trentamila donne a metà anni settanta (pubblicata nel libro “Sesso amaro” ). Penso al lavoro comune, un lavoro trasversale, in più occasioni con le donne del Cif, in piena guerra fredda, segnata pesantemente dalla contrapposizione tra opposti schieramenti.

{{ Negli anni settanta}} l’incontro esplosivo col {{neofemminismo}} ha prodotto nell’Udi una lacerazione profonda che poi ha determinato scelte dirompenti all’11° Congresso: autonomia diventa una parola chiave, valore irrinunciabile da costruire a partire dalle forme, forme nuove, senza tessera né organismi dirigenti, forme inventate come l’Assemblea Nazionale Autoconvocata abbreviata in autoconvocazione, come l’autoproposizione e il rifiuto della delega. L’organizzazione, aspetto fino ad allora fondamentale della politica dell’Udi, viene drasticamente ridimensionata. Ha inizio una sperimentazione delle forme della politica calibrate sulla soggettività femminile che però ha purtroppo reso difficile se non impossibile la presa di parola pubblica dell’Udi nella sua dimensione nazionale: è il costo che per molti anni abbiamo dovuto pagare.

La lacerazione ha portato conflitti che degeneravano in contrapposizione sterile, ma anche un sapere prezioso per imparare a riconoscere e nominare le differenze tra noi e gestire i conflitti politicamente non componibili ({{Lidia Menapace}}), per affermare la titolarità di sé ({{Vania Chiurlotto}}) di ciascuna per imparare tutte a dire “io”, un io non più celato in un più o meno indistinto “noi”, come troppo spesso per molte prima accadeva.

Abbiamo imparato e sperimentato{{ la fatica dell’autonomia}}: uscire dalla logica degli schieramenti pagandone fino in fondo costi come delegittimazione e cancellazione; ci siamo assunte la responsabilità di mantenere aperti luoghi di solidarietà, di confronto e iniziativa politica, di costruzione di forza e autorevolezza femminile proprio quando molte abbandonavano l’impegno; abbiamo imparato a trovare le risorse economiche necessarie evitando di riproporre vecchie e nuove dipendenze; abbiamo costruito, non sempre per la verità e non dovunque in autonomia rispetto ai partiti, rapporti fecondi con le istituzioni, scontrandoci a volte con atteggiamenti pregiudizialmente antiistituzionali di settori del femminismo. Nei nostri territori abbiamo imparato a{{ tessere relazioni e intrecciare percorsi }} con altre realtà associative, in primo luogo con le donne del femminismo.

Io posso portare, come donna dell’Udi “La Goccia” l’esempio di Roma, prima nella storica sede di via Colonna Antonina, poi con la nostra presenza e il nostro{{ ruolo nella Casa Internazionale delle Donne.}}
C’è stato un{{ progressivo reciproco riconoscersi}}; nella mia memoria ci sono suoni, voci, sguardi, parole, immagini indelebili legate ad esempio alla preparazione degli otto marzo nei freddi locali dell’ex Buon Pastore (mi torna in mente il viso luminoso di {{Alma Sabatini }} che dice a me dell’Udi “mi piace quello che hai detto”), o nel giardino per preparare l’ultima grande manifestazione nazionale del 900 {{“La prima parola e l’ultima” }} dove ogni realtà era riconosciuta e nominata alla pari perché alla pari aveva avuto parola e contribuito alla costruzione e all’esito dell’iniziativa.

Al XIV Congresso 2002-2003 si evidenziò la necessità di tornare come realtà nazionale a riprendere parola pubblica imparando a dire di nuovo “noi” e le Campagne 50e50, Staffetta, Immagini amiche, hanno prodotto prese di posizione, comunicati stampa (per lo più ignorati dai media), consolidato pratiche di relazione sia sul piano nazionale che su quello territoriale e consentito l’accesso a nuove generazioni di donne.

{{Passo al secondo “noi”}}

{{Il Noi con le donne}} è ovviamente collegato al primo, è sempre lo stesso noi e mette a fuoco un dato di realtà: le donne sono il primo referente politico dell’Udi. {{Quali donne?}} Tutte, in teoria, senza esclusione alcuna. Anche le migranti: per mostrare il nostro desiderio di accoglienza e attenzione verso di loro abbiamo cambiato la nostra denominazione per esteso, pur mantenendo lo stesso acronimo.
La relazione tra donne resta il fondamento primo della nostra politica e della sua radicalità: siamo consapevoli che non siamo autosufficienti né vogliamo essere autoreferenziali. C’è bisogno del contributo di tutte, delle loro differenti esperienze e saperi: {{per cambiare una realtà complessa c’è bisogno di un soggetto collettivo che contenga questa complessità. }} Alla ostinata e forte resistenza al cambiamento da parte di uomini, istituzioni e non poche donne, occorre opporre una altrettanto forte e organizzata azione su più fronti: personale, sociale, politico e culturale.
Ecco perché è necessario {{fare rete}}, sapere le une delle altre e trovare momenti comuni.

{{Ma come, con quali pratiche?}}

Negli ultimi anni sono sorte molte associazioni di donne e anche alcune reti locali e nazionali finalizzate a determinati obiettivi. Esse rappresentano una forza e una ricchezza che chiede, come noi, una adeguata e corretta rappresentazione nei media. Sia {{Pina Nuzzo}}, Delegata di sede nazionale, che le Udi territoriali sono state presenti in varie occasioni a loro iniziative e hanno sostenuto i loro appelli e aderito a manifestazioni. Molte di loro hanno partecipato alle nostre campagne arricchendole con la loro presenza, creatività, intelligenza.

Il {{13 febbraio}} la manifestazione di {{Se non ora quando}}, le cui organizzatrici hanno meriti indiscutibili, ha prodotto un conflitto nell’Udi e non solo e ha fatto emergere l’urgenza di riflettere su come, con quali pratiche costruire pezzi di strada comune. L’appello per una rete nazionale lanciato a Siena ha reso ancora più urgente un confronto tra noi per poter dare delle risposte, intanto a noi stesse, il più possibile condivise.

La relazione con le altre associazioni non può più essere lasciata al caso e al rischio di confusione, ma {{vanno individuati quei criteri per noi irrinunciabili.}} Alcuni sono rintracciabili nella nostra storia e vanno ribaditi.

Condizione fondamentale è{{ l’autonomia da partiti e sindacati}} evitando rischi di strumentalizzazioni e logiche di schieramento: se l’obiettivo è l’autodeterminazione, la libertà delle donne, non c’è nessuno che se ne fa realmente carico all’infuori di noi donne che, almeno fino ad oggi, ne restiamo le titolari principali. Altra situazione è la vicenda dei consultori nel Lazio dove le donne di molte associazioni e gruppi hanno costruito, con autorevolezza e con una pratica condivisa, alleanze con rappresentanti di alcuni partiti presenti nel Consiglio regionale per bloccare una proposta di legge inaccettabile e pericolosa: le alleanze sono strumenti necessari se agiti mantenendo la piena titolarità dell’iniziativa. Dunque {{autonomia non significa assenza di relazioni con i partiti e le donne che li rappresentano}}.

Altro aspetto importante è {{la trasversalità:}} l’Udi non esclude in base alle appartenenze partitiche perché è convinta che la sua politica sia un guadagno per tutte le donne.

Una relazione politica si regge se c’è reciproco riconoscimento: questo vuol dire che può accadere che si sottoscriva un documento fatto da altre per condivisione e dare loro forza, ma ci si aspetta eguale attenzione alle proprie prese di posizione. E comunque questa modalità si basa più sulla solidarietà e poco sul confronto. Invece secondo me una relazione veramente efficace va agita in tutte le sue potenzialità e il confronto ne è elemento essenziale. Occorre perciò impegnarsi per arrivare, almeno in alcuni momenti significativi, ad un agire comune che veda tutte egualmente coinvolte nella costruzione di pensiero e di priorità. Questo si può fare in due modi: o attraverso una pratica di interconnessione permanente, mantenendo cioè sempre aperta la comunicazione e il confronto tra le varie associazioni e gruppi, oppure impegnandosi a trovare, tutte insieme, forme di rappresentanza temporanee o stabili (comitati, convention, coordinamenti).

{{Le donne di Se non ora quando}}, a cui come dicevo vanno molti meriti, hanno esordito lanciando un appello a cui molte hanno aderito, altre no. L’appello in verità risultava debole e le contestazioni hanno dato vita ad un dibattito molto ricco che ha mostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia utile oltre che necessario in casi come questo confrontarsi prima di chiedere l’adesione. Il risultato è stato, al di là forse delle intenzioni, {{una rappresentazione mediatica del 13 febbraio falsa e offensiva}} secondo la quale le donne, come soggetto indefinito, tornavano finalmente a farsi sentire. E’ così sparita, è stata cancellata la varietà e la ricchezza di quelle presenze: a Roma ad esempio le tante realtà, come la Casa Internazionale della Donne, che erano lì a mostrare non solo una presenza, ma anche una storia ininterrotta di impegno e parola. La titolarità dell’iniziativa era indubbiamente del {{comitato Se non ora quando}} e questo andava riconosciuto, ma senza rendere insignificanti le altre. Sono convinta che anche il potere mediatico, quando si riesce ad ottenere, vada gestito nel riconoscimento delle altre, assicurandosi che non operi cancellazioni.

A Siena mi ha colpito l’invito fatto dal palco ad iscriversi a Se non ora quando e fare rete perché, è stato detto, tutte sono accolte, proprio tutte, senza distinzione: questo invito è legittimo se rivolto a realtà territoriali e a singole donne. Ma lì c’erano, perché invitate, anche donne in rappresentanza di realtà nazionali con una storia importante alle spalle quale ad esempio è l’Udi. Questo avrebbe dovuto portare le organizzatrici a capire che in questi casi {{non si può fare un semplice discorso di inclusione}}, ma occorre proporre i passaggi necessari e sollecitare un lavoro di confronto e scambio per vedere insieme come costruire una rete nazionale di donne. Perché, se il riconoscimento reciproco agisce, allora una rete si può costruire anche insieme ad altri soggetti nazionali, {{una rete policentrica}} per la quale va trovato un nome nuovo e chi la deve rappresentare.

E le Udi locali fanno bene ad essere in reti locali, ma {{di fronte a richieste di adesione a reti di carattere nazionale}}, a me sembrerebbe corretto sentire prima gli organismi nazionali dell’Udi, anche per verificare insieme se l’adesione può andare oltre il livello territoriale.

Per concludere: {{la frammentazione}} che da tempo caratterizza il movimento politico delle donne, per esprimere forza e autorevolezza femminile{{ deve diventare molteplicità in relazione,}} realtà policentrica interrelata. In questo senso ritengo l’oggetto “rete” con la sua regolarità e monotona ripetitività degli intrecci, una metafora impropria che non riesce a dar conto delle eccellenze e della variegata e complessa realtà che oggi le donne rappresentano nel nostro Paese. Sono importanti {{i gesti, i passaggi, ma anche il linguaggio, le metafore, i simboli }} che si scelgono per una rappresentazione di noi che sappia intrecciare “essere” e “apparire” e ci assicuri una visibilità pubblica nel senso di riconoscibilità.

E’ un momento difficile per la storia umana e {{noi donne abbiamo saperi consolidati e passione sufficienti per rivoluzionare il senso dello stare insieme in questo mondo,}} e forse conosciamo più degli uomini i modi per farlo, perché non si cambia il mondo se non si cambiano i modi, cioè le pratiche di relazione. E’ un momento difficile dicevo: ma sarà bello, bellissimo viverlo insieme dandoci tutte reciprocamente fiducia e forza per uscire dall’insensatezza, dalla volgarità, dalla violenza in cui ci troviamo ormai da troppo tempo immerse/i tutti i giorni.