Tutto finisce, tutto, mi dicevo. La vita stessa ci è data con una scadenza. Questo lo sappiamo da sempre. Dovremmo premunirci, senza mettere il cuore in ciò che non dipende da noi. Invece dalla fine siamo sempre colti di impreparati. Perché incapaci di pensarla, incapaci di vivere la precarietà. Viviamo come se fossimo immortali….” (p. 169)

Daria Martelli offre pagine ben scritte e ben costruite per un viaggio interiore che assume le sfumature del giallo nel cercare e svelare verità passate, trascorsi familiari di due donne, Marina e Arianna legate da vecchia amicizia scolastica, rinverdita con il rientro a Padova di Arianna, dopo dieci anni di assenza, con memorie di viaggi in paesi diversi e una filosofia di vita in cui …”nulla è per sempre”.

Entrambe appartenenti ad ambienti colti e benestanti, proiettano il loro malessere sullo sfondo inquietante, poiché freddo e formale, di party, gite, buone letture, brevi sfoghi di riso e di pianto, sullo sfondo di quegli anni ‘Ottanta del Novecento quando non solo la società, ancora poco tecnologica, ma anche la geografia politica era diversa e così i rapporti e le polarizzazioni.

L’Autrice segue Marina nella complessità, fino allo sfinimento, del rapporto con Livio, di cui è alternativamente infastidita e gelosa e che la trasgressiva e dilagante presenza di Arianna non facilita. Arianna, dal tragico destino, tiene però in mano il filo segreto del racconto che dipana attraverso silenzi, fughe e il restauro di Villa Canali legata a memorie infantili.

Marina, nella sua personale discesa agli inferi, tra dubbi, ricerca del sé tradita e tentativo di salvare Arianna, ha uno spirito guida, un vecchio libro “sull’arte di coltivare” di una certa Clotilde e da lei fortunosamente ritrovato. Non sono incantesimi ma i gesti ripetuti e rassicuranti della sopravvivenza quotidiana attraverso i prodotti della terra, e tutto vi è simbolo e metafora. Ed è questo ritrovato rapporto significante con la natura che dona al racconto la sua continuità. Misura il tempo quel giardino, diverso da tutti gli altri, “ammansito” con le arti di Clotilde e diventato una giungla fitta e intricata durante gli otto anni di separazione di Marina da Livio (trasferitosi a Trieste) e di entrambi dalla “loro” casa; con l’uomo, però prosegue un carteggio “amichevole ed elusivo” come lui lo definisce nelle pagine “Nota di Livio Ranieri”. E di nuovo compare un libro, le Metamorfosi di Ovidio, lasciato da Marina in quelle stanze a richiamo:

Così m’invitava a seguirla sulle tracce di Arianna, da entrambi diersamente amata: nel mondo del desiderio sessuale da me, in quello dell’amicizia e identificazione da lei.” (p. 211)

Una seconda “Nota di Elisabetta Rossi” chiude il circolo/tempo del romanzo, al centro, questa volta “i muri di libri” da catalogare, in quella casa, per l’Università. S’imbatte in una cartella azzura con manoscritto anonimo, che parla di Marina, Livio, Arianna, Diego e Laura. Storie “etranee” ma che in tempi in cui “il privato è politico” non butta al macero ma rende documento; ultime pagine in cui non si parla più del giardino, probabilmente desertificato nei vari passaggi di proprietà.

Info: Daria Martelli, Trent’anni dopo, Iacobelli editore, 2021; € 14,00.