Vittoria De Palma e Ernesto De Martino

Questa mattina Massimo Bray (Direttore Generale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana), Andrea Carlino (Université de Genève), Giovanni Pizza (Università degli Studi di Perugia), Marcello Massenzio (Associazione Internazionale Ernesto De Martino) e Giorgio Andreotta Calò (artista Padiglione Italia, Biennale Arte 2017), alla presenza di Vittoria De Palma, hanno presentato presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana la donazione dell’Archivio di Ernesto De Martino all’Istituto.

Nel  corso  dell’estate,  i  47  faldoni  che  documentano  il  laboratorio  di  ricerca  di  De  Martino saranno depositati  presso Palazzo Mattei di Paganica – sede dell’Istituto Treccani  – e  verranno  messi  a disposizione del pubblico e della comunità  di studiosi e  artisti che da sempre trova nel  lavoro demartiniano fonte di conoscenza e di ispirazione.  All’interno dell ’archivio  sono custodite le  tracce documentali fondamento di alcuni degli studi che hanno segnato la storia della cultura italiana del XX secolo , non soltanto per i temi trattati,  ma  anche  per  la  passione  civile  e  politica  che  li  animava.  Basti ricordare  Il  mondo  magico (1948) ,  Sud  e  magia (1959) ,  La  terra  del  rimorso (1961)  e  il  libro  postumo sulle  apocalissi.

“L’obiettivo  di  Treccani” spiega  il  Direttore  Generale  dell’Istituto  Massimo  Bray  “in collaborazione con la comunità scientifica, che finalmente avrà a disposizione questo tesoro di documenti e di idee, sarà quello di rendere vivo l’archivio di uno studioso che, anche grazie al suo  impegno  al  tempo  stesso  critico  e  politico,  scientifico  e  sociale,  è ricordato  come  il  fondatore dell’antropologia italiana”.

È  importante ricordare  che  il  Padiglione  Italia  della 57°  Esposizione  Internazionale  d’Arte  Biennale  di  Venezia  è  intitolato  Il  mondo  magico,  con  esplicito  riferimento  al pionieristico libro di Ernesto De Martino del 1948 e a testimonianza dell’attualità del pensiero dell’antropologo napoletano.

Il Padiglione Italia alla 57° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia  (fino al 26 novembre 2017) curato da Cecilia Alemani,   presenta le opere e la ricerca di tre artisti italiani  – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni  Bey  – il cui lavoro propone una rinnovata fiducia nel potere trasformativo dell’immaginazione e un interesse nei confronti del magico. Ernesto  de  Martino (1908-65), è stato uno dei pensatori chiave nello studio della funzione antropologica del magico, da lui indagato per decenni individuando nei suoi rituali i dispositivi attraverso i quali l’individuo tenta di padroneggiare una situazione storica incerta e di riaffermare la propria presenza nel mondo. Il libro Il mondo magico, scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, inaugurava una serie  di  riflessioni  e  studi  su  quel  complesso  di  credenze,  riti  e  mitologie  che  avrebbero  continuato  a interessare  de  Martino  nei  decenni  seguenti,  come  testimoniano  sia  la  cosiddetta  trilogia  meridionale (Morte e pianto rituale, Sud e Magia, La terra del rimorso) sia gli scritti postumi raccolti nel volume La fine del mondo. Nel  panorama  dell’arte  contemporanea  italiana,  Giorgio  Andreotta  Calò,  Roberto  Cuoghi  e  Adelita Husni Bey  si  appropriano  del magico  come  mezzo  cognitivo  ed  espressivo  per  ricostruire  la  realtà, dando  forma  a  complesse  cosmologie  personali.  I tre  artisti  vedono  il  proprio  ruolo  non  solo  come artefici di opere d’arte, ma come attivi interpreti e creatori del mondo che rileggono attraverso la magia  e  l’immaginazione.  Andreotta  Calò,  Cuoghi  e  Husni Bey  non  cercano  nel  magico  una  via  di  fuga  nell’irrazionale,  quanto  piuttosto  una  nuova  esperienza  della  realtà.  Ad  accomunarli  non  è  tanto  una specifica coerenza stilistica, quanto il desiderio di creare universi estetici complessi che rifuggono dalla narrazione documentaristica  tipica  di  molta  produzione  artistica  recente,  per  affidarsi  invece  a  un racconto  intessuto  di  miti,  rituali,  credenze  e  fiabe.  Pertanto  l’esposizione  Il  mondo  magico guarda all’artista non solo come produttore di opere e oggetti, ma soprattutto come guida, interprete e creatore di nuovi mondi possibili.

Il  progetto  di Andreotta  Calò  per  il  Padiglione  Italia, senza titolo ma che fa riferimentoa La  fine  del  mondo,  consiste  in  una  grande installazione che divide il monumentale spazio dell’ambiente architettonico in due livelli, creando due mondi separati, complementari e opposti.  Il visitatore accede all’opera dal livello inferiore, costituito da  una foresta di tubi da ponteggio che sorregge una piattaforma di legno e che ricorda l’architettura di una  chiesa a cinque navate; ad alcuni pali sono aggrappate una serie di sculture in bronzo bianco raffiguranti grandi conchiglie (Pinna nobilis), che evocano un mondo marino, oscuro e profondo. Alla fine dello  spazio  inferiore  una  scalinata  conduce  i  visitatori  al  livello  superiore,  dove  una  vastissima  distesa d’acqua  si  estende  in  corrispondenza  di  tutto  lo  spazio  sotto  cui  si  è  appena  passati.  Il  soffitto  del padiglione  si  riflette  e  si  ribalta  nell’acqua,  generando  una  visione  vertiginosa  e  straniante,  di  cui  lo -spettatore entra a far parte riflettendosi a sua volta in un grande specchio posto all’estremità dello spazio. La  superficie  d’acqua  amplifica  illusoriamente  le  dimensioni  e  i  volumi  del  padiglione,  ribaltandone  l’architettura  e  generando  un  effetto  simile  a  quello  di  un  miraggio:  un’immagine  che  è  al  contempo  cristallina, vivida e volatile.

Lo  sdoppiamento  dello  spazio  riflesso  nonché  la  configurazione  dell’installazione  in  due  livelli  suggeriscono  una  riflessione  sulla  simbologia  del  doppio,  che  è  un  tema  ricorrente  in  altre  opere  dell’artista, ma questi concetti si riallacciano anche ad alcune atmosfere esplorate da Ernesto de Martino  in  La fine del mondo, libro nel quale Andreotta Calò ha ritrovato molte corrispondenze con il proprio  lavoro. In La fine del mondo l’antropologo descrive l’antico mito romano del mundus  Cereris, secondo il quale nei pressi di Roma si trovava una fossa che fungeva da soglia tra due mondi, quello inferiore connesso agli inferi e quello superiore connesso alla realtà terrena e alla volta celeste. Tre volte l’anno, in  un  rito  cerimoniale  chiamato  mundus  patet,  la  fossa  si  apriva  e  si-mettevano  in  comunicazione  il  mondo dei vivi e quello dei morti.

Treccani Cultura – l’associazione senza scopo di lucro – si propone di stabilire  e  sviluppare  un  collegamento  permanente  tra  il  mondo  culturale,  scientifico,  economico, imprenditoriale e l’Istituto della Enciclopedia Italiana – intende  promuovere e sostenere alcuni  importanti progetti nel campo della valorizzazione del patrimonio  culturale  italiano.

Dopo la Biennale di venezia – in ordine di tempo – l’altra iniziativa  sarà  PauLAB,  una residenza che si svolgerà dal 21 al 29 giugno  nella  terra  del  rimorso al  centro  dell’interesse  demartiniano ,  il  Salento,  coinvolgendo  una  cinquantina  di  studiosi,  musicisti,  danzatori,  artisti  e  operatori  culturali  italiani  e  stranieri.   

L’iniziativa di PaulLAB culminerà nel giorno della festa dei  Santi Pietro e Paolo, nella piazza  di  Galatina,  dove  per  secoli  i “malati”  di  tarantismo  si  sono recati  per  ricevere  la  grazia dal Santo patrono, e dove si svolgerà uno-spettacolo/concerto aperto al pubblico.