Uscito in pieno periodo Covid-19, il saggio “nasce da un articolo scritto diversi anni fa e proposto in altro testo (Voci in una stanza)” dall’A., psicologo e psicoterapeuta di formazione e orientamento psicanalitico, già docente di Psicologia dinamica presso il Centro Ricerche Biopsichiche di Padova e coordinatore della sezione veronese “G. Guantieri” della Società Italiana di Medicina Psicosomatica (fino al 2016).

Aiuta chi non sia della materia, come chi scrive, l’Introduzione che in primis esemplificail dirsi e il metodo d’approccio dell’A. alla stanza d’analisi, al rapporto tra le/i pazienti(in generale) e l’altro personaggio (l’analista).

Le pagine dipanano in cinque scansioni e ricca bibliografia, il filo di Ariannache ha permesso quattro pazienti “spesso umiliate, sminuite, di uscire dai labirinti complicati della memoria e dagli incroci pericolosi della vita”, parlando, “dei loro segreti che nascevano dall’orgoglio, dalla sconfitta, dalla vergogna, dalla collera e dalle loro solitudini circondate da muri di silenzi e di malessere.”(retrocopertina)

La frase pronunciata dall’A. “…non so quanta strada c’è da fare; so solo che c’è strada da fare” nell’assunzione del “compito maieutico di timoniere” (Storia di uomini e di cani, p. 23), testimonia l’esito incognito del percorso analitico che agli slanci alterna le stasi, le lente riprese, talvolta gli abbandoni.

“(Alberta) aveva fretta, era alla ricerca di una sorta di riscatto magico della parte di vita che, a suo dire, le era stata rubata, ma non pareva rendersi conto che, nella pretesa dell’eventuale recupero, la vita comunque continuava a scorrere, a passare insomma” (p. 23).

Nella stanza d’analisi “dove si dicono e si odono parole che cercano l’anima”, entra chi “…farà sovente ricorso all’immagine della matrioska” (La perfezione: il caso di Enrica, p. 53) e chi, “sperimentate relazioni sentimentali concluse sempre da una delusione”, eternizza Aristofane: “Voi temete quelli che vogliono il vostro bene, e supplicate quelli che non lo vogliono.” (La tenerezza: il caso di Silvia, p. 89).

Vi staziona chi è capace di sorprendere D’Onofrio con “…l’arcobaleno di sfumature della voce in base alle emozioni di cui parlava: (…) ora calda, ora delicata, ora mielosa, ora velata…” (Il teatro da camera: il caso di Sara, p. 117) e chi, dopo percorsi d’analisi interrotti, “…prima di presentare se stessa, presenta i suoi sintomi: erano il biglietto da visita, il suo significante, il colore della sua vita, sebbene indicassero gli aspetti sofferenti e dolorosi (…) Pareva che la prima immagine che lei volesse inviarmi fosse quella della vittima: una sorta di rassicurazione sulla sua innocuità…”(Il contorno: il caso di Marcella, p. 143).

Storie di donne che sono esisti e iscrizioni nel portato individuale, antropologico e sociale; interprete il linguaggio analitico.

“Presento, in questo libro, racconti, chiusi nella palude della sofferenza, o meglio pezzi di storie, con zone non sempre illuminate, con aree vuote, con occultamenti, con zone di “non visibilità” da recuperare e restaurare attraverso un nuovo senso.” (Introd.p. 9)

Incuriosisce l’A. sapere come e quanto l’uscita da un luogo “in cui è certamente più facile parlare di fatti, di eventi, di oggetti, delle stanze di casa piuttosto che della stanza della mente” (Idem), abbia comportato uno stabile cambiamento di visione di se stesse con conseguente diverso approccio all’esistente.

Dedicato alla moglie Vita, ai figli Jacopo e Giorgia, il libro si propone come finestra aperta su mondi diversi, non tanto specchio (di propria riflessione e di memoria), per ricorrere alla celebre metafora di J.Woodson, non ultima delle colte citazioni di Angelo D’Onofrio, la cui vena divulgatrice, e scrittura accattivante, coglie l’obiettivo “di fare riflettere e nel contempo fare emozionare chi legge”(Introd. p. 21).

Angelo D’Onofrio, Soffrire è un verbo femminile. Storie di donne in analisi, Franco Angeli, 2020