Alla Casa Internazionale delle Donne (via della Lungara, 19, Roma) il 28 ottobre, alle ore 18.30, anteprima del film La scelta di Anne (L’événement) della regista Audrey Diwan tratto dal romanzo di Annie Ernaux.
Per riservare un posto per la proiezione è necessario registrarsi al link:
https://forms.gle/kTHsZzMicoKEFChM6
L’entrata in sala Lonzi sarà a partire dalle 18:00 per iniziare alle 18:30 puntuali.


SINOSSI

La storia di Anne, una giovane donna che decide di abortire per completare i suoi studi e sfuggire al destino sociale della sua famiglia proletaria. La storia della Francia nel 1963, di una società che condanna il desiderio delle donne, e il sesso in generale. Una storia semplice e dura, che ripercorre il cammino di chi decide di agire contro la legge. Anne ha poco tempo davanti a sé, gli esami si avvicinano e il suo ventre si arrotonda…

LETTERA DI ANNIE ERNAUX

Uscendo dalla sala di proiezione di l’Événement, ero molto commossa, non ho avuto altro da dire a Audrey Diwan che queste parole: «Hai fatto un film giusto.»

Giusto, cioè quanto più possibile vicino a quello che voleva dire per una ragazza scoprirsi incinta negli anni Sessanta, quando la legge vietava e puniva l’aborto. Il film non dimostra, non giudica, né tantomeno drammatizza. Segue Anne nella sua vita e nel suo mondo da studentessa, tra il momento in cui aspetta invano l’arrivo delle mestruazioni, e quello in cui la gravidanza è alle sue spalle, in cui «l’evento» ha avuto luogo.  Semplicemente – si fa per dire – è attraverso lo sguardo di Anne, i suoi gesti, il suo modo di comportarsi con gli altri, di camminare, i suoi silenzi, che avvertiamo il cambiamento improvviso prodotto nella sua vita, nel suo corpo che si appesantisce, affamato e scosso dalla nausea. Che entriamo nell’orrore indicibile del tempo che scorre e viene scandito in settimane sullo schermo, lo sgomento e lo sconforto per soluzioni che vengono meno, ma, anche – è molto chiara – la determinazione di andare fino in fondo. E, quando tutto si è concluso, sul volto sereno e luminoso di Anne, in mezzo agli altri studenti, si legge la certezza di un futuro di nuovo aperto.

Non posso immaginare nessuno al posto di Anamaria Vartolomei per impersonare Anne, e, in un certo senso, me stessa a ventitré anni, con una veridicità e una giustezza che sconvolgono i miei ricordi.

Ma, ai miei occhi, il film non avrebbe potuto essere del tutto giusto se avesse occultato le pratiche alle quali le donne hanno fatto ricorso prima della legge Veil. Audrey Diwan ha il coraggio di mostrarle nella loro realtà brutale, il ferro da calza, la sonda introdotta nell’utero da una «fabbricante di angeli». Perché è solo così, nella sensazione di disturbo suscitata da queste immagini, che possiamo prendere coscienza di quanto è stato inflitto al corpo di quelle donne e di quello che significherebbe tornare indietro.

Vent’anni fa, alla fine del mio libro, scrivevo che quanto mi era successo durante quei tre mesi del 1964 mi sembrava «come un’esperienza totale», del tempo, della morale e del proibito, della legge, «un’esperienza vissuta da un capo all’altro attraverso il corpo». È questo, insomma, che Audrey Diwan ci consente di vedere e di sentire nel suo film.