Sperando di fare cosa gradita, mi fa piacere inviarvi il nuovo dossier da me curato per l’Istituto di Studi di politica internazionale (ISPI) di Milano: si tratta di un ragionamento sulle implicazioni ambientali, energetiche, economiche delle città globali, con particolare attenzione alle dimensioni della resilienza e della sostenibilità. I contributi sono scritti da esperti italiani e internazionali.
Questa l’introduzione alla pubblicazione in cui troverete – qui sotto i link 

Mentre gli investimenti in Occidente fluttuano a causa delle incertezze economiche, una forte tendenza all’urbanizzazione si sta consolidando in tutto il mondo e ciò richiede una visione chiara delle opere e degli interventi necessari in vari settori: trasporti, sia urbani che extraurbani, civili e commerciali; energia; connettività e reti di comunicazione; alloggio e costruzione. Grazie all’innovazione tecnologica, i servizi ai cittadini migliorano, l’economia cresce, l’impatto ambientale e le disuguaglianze sociali diminuiscono. “Smart cities” è il mantra proposto da think tank, università, società di consulenza, industrie e, ovviamente, da aziende di software e hardware. Tuttavia, questo concetto non è più soddisfacente: la ricerca recente mette in discussione la valutazione positiva della Smart City, poiché questo paradigma rischia di rivelarsi debole nel migliorare le condizioni di vita degli individui e, allo stesso tempo, è problematico da un punto di vista democratico : le persone potrebbero gradualmente essere private dei loro dati sensibili, che vengono poi sfruttati da grandi aziende per ricavarne un profitto.

Per “andare oltre” il concetto di Smart City, abbiamo chiesto a diverse parti interessate di condividere i loro pensieri con noi: intellettuali, rappresentanti di organizzazioni internazionali, società di consulenza, grandi gruppi industriali attivi nel campo delle infrastrutture. Li abbiamo sfidati ad articolare le loro idee sullo sviluppo urbano in un modo più pertinente, originale e utile. Le loro opinioni sono raccolte in questo dossier, ricco di esempi e dati, che sorprende per la vasta gamma di aggettivi applicati alla città. Se le città sono in prima linea, come le statistiche ci hanno mostrato per anni, dobbiamo selezionare per loro caratteristiche che possano plasmare positivamente il loro futuro: qui viene la città “resiliente”, “flessibile”, “circolare”. Ognuno di questi termini enfatizza un aspetto distinto e fondamentale, senza mai dimenticare, comunque, che molte delle sfide che affrontiamo sono connesse e complementari.

La resilienza ha attirato l’attenzione delle Nazioni Unite, che hanno lanciato la campagna “Making Cities Resilient” (MCR) attraverso l’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi di disastro (UNISDR). Lo sforzo si concentra soprattutto sui rischi che le città corrono a causa del cambiamento climatico e dei relativi eventi traumatici. Al fine di ridurre gli impatti spesso devastanti, vengono adottate strategie di mitigazione e adattamento e la tecnologia viene utilizzata per sviluppare strumenti di prevenzione. L’MCR ha progettato una piattaforma web che consente alle amministrazioni locali di valutare se stesse, definendo i loro punti deboli, i limiti organizzativi e i settori in cui la partnership pubblico-privato è fondamentale.

Salini Impregilo, un’azienda edile italiana attiva in tutti i continenti, si concentra sulla “flessibilità” come capacità di nuove infrastrutture per adattarsi alle mutevoli esigenze delle popolazioni. Considerando la città come un organismo vivente, con quello che chiamiamo “metabolismo urbano”, vengono mostrati diversi esempi: edifici che non disperdono l’acqua grazie a una distinzione efficiente tra pioggia, acqua potabile e acqua riciclata; mezzi di trasporto in grado di prevedere i flussi delle persone; anche spazi culturali la cui struttura interna cambia in base all’evento che stanno per ospitare. Come possiamo vedere, la flessibilità può essere vista come una strategia di protezione ambientale e come un modo per prendersi cura delle esigenze individuali.

Il concetto di economia circolare è fondamentale nella visione di un’organizzazione internazionale come l’OCSE, ma anche nella strategia di un’innovazione. 

La città diventa “circolare”, un’espressione affascinante che si riferisce a tre dimensioni distinte. Innanzitutto, si riferisce al ciclo economico di per sé, che mira alla progressiva limitazione degli sprechi e al riutilizzo dei materiali, creando allo stesso tempo nuove opportunità industriali e di lavoro. In secondo luogo, si riferisce alla competizione tra le città globali, che incorporano innovazioni economiche e tecnologiche in un circolo virtuoso di corsa costante per il primo posto. Infine, si riferisce alla prospettiva olistica (circolare), che evidenzia l’interdipendenza tra i piani ambientali, economici e sociali, precisamente nel quadro di un’economia circolare. Questa visione era anche al centro dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si”, dove ha coniato la formula di “Ecologia sociale”.

Pertanto, dal momento che ognuna di queste sfumature porta con sé un importante elemento di verità, riteniamo che la soluzione più onnicomprensiva sia parlare di “città sostenibili”, anche sulla scia del dibattito dell’ONU in questo ambito. Non è solo no. 11 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che per la prima volta ha incluso le città tra i principali attori dello sviluppo sostenibile, ma la relazione di questo con altri obiettivi, ovvero ottenere un’istruzione di qualità, promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, occupazione e lavoro dignitoso per tutti, e costruendo infrastrutture resilienti, promuovendo l’industrializzazione sostenibile e promuovendo l’innovazione.

Infine, altre due domande: sono queste questioni locali o globali – e quindi questioni geopolitiche? Quale ruolo giocano le persone?

Senza vincere la battaglia per una transizione ecologica (e sociale) delle città, lo sforzo contro il cambiamento climatico – affrontato poche settimane fa nella conferenza Cop 24 di Katowice – rischia di diventare inutile. Dopo tutto, i tre quarti delle emissioni planetarie di gas serra provengono da aree urbane. Niente di più globale, quindi, o, come dicevamo alcuni anni fa, “glocal”. E c’è di più: le amministrazioni locali stanno guadagnando un peso politico crescente, grazie alle loro reti internazionali e all’attivismo coraggioso dei sindaci; tutto questo si riverbera, ad esempio, nelle misure che le città americane stanno prendendo contro le politiche ambientali di Donald Trump, al punto di opporsi a queste politiche nel nome degli obiettivi di Parigi. Tuttavia, non esiste ancora una significativa ridistribuzione del potere e delle risorse: anche in prima linea, le città non hanno i mezzi per controllare un vasto territorio, influenzare l’allocazione delle risorse e le politiche dirette. Questa è una domanda, quindi, che riguarda la governance globale.

Per quanto riguarda la seconda domanda, Pietro Garau spiega nel suo contributo come la Smart City – o meglio la “città sostenibile” – possa dipendere solo da “Smart Citizens”, cioè dalle scelte che ognuno di noi fa. A causa del potere limitato delle amministrazioni locali, un processo top-down non può essere immaginato senza una rivoluzione dal basso verso l’alto, che dipende dalla consapevolezza e dalla partecipazione di comunità e individui. L’influenza geopolitica dei cittadini può dare il massimo: questo nuovo “Civis” può influenzare le tendenze globali – purtroppo, anche in senso negativo – che ispira. Il destino del pianeta dipende da loro, anche oltre i confini urbani.