Si dice che salendo sul patibolo Maria Antonietta abbia espressamente con il suo tacchetto pestato il piede al boia. Ultimamente sono stati dedicati alla regina francese molti saggi rivalutandone l’immagine e non solo. Il film di Sofia Coppola a lei dedicato l’ha rivisitata addirittura in chiave quasi pop.

E’ alla Conciergerie di Parigi, simbolo del potere regale ma divenuta, durante la Rivoluzione francese luogo di detenzione, che fu imprigionata Maria Antonietta. Ed è proprio qui che è in corso una mostra a lei dedicata.

Pittrice prediletta della sovrana era Elisabeth Vigée Le Brun.

 

A Valeria Moretti, che ha dedicato grande attenzione al recupero delle artiste del passato, chiediamo:

Ti sei mai interessata di Elisabeth Vigée Le Brun?

Sì, nel libro “Le più belle del reale” (1983) e nel testo teatrale “Una tavolozza rosso sangue” (1995). Quest’ultimo racchiude tre cammei di pittrici: uno dedicato espressamente alla Vigée Le Brun e gli altri due alla caravaggesca Artemisia Gentileschi e alla messicana Frida Kahlo. Nel testo ideato dalla scrittrice si immagina un momento di posa della regina che sarà presto ghigliottinata. La pittrice, invece, non solo riesce a sfuggire al patibolo ma, l’essere stata la ritrattista prediletta di Maria Antonietta, le procura successo e denaro. Fioccano, infatti, le ordinazioni da parte di molti nobili onorati di poter essere anch’essi raffigurati dal pennello che aveva immortalato la regina.

Sono state non poche e importanti le pittrici del ‘500 e del ‘600. Ad alcune di loro hai dedicato non solo saggi, ma anche opere teatrali. Ce ne parli?

Proprio nel libro “Le più belle del reale” ho cercato di riportare alla luce le pittrici del ‘500 e del ‘600, le pioniere dell’arte figurativa: Fede Galizia, Sofonisba Anguissola, Elisabetta Sirani, Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera, Giulia Lama, Marietta Robusti figlia di Tintoretto e soprannominata, perciò, Tintoretta.

Tra queste artiste del passato la più nota è Artemisia Gentileschi: oggi i suoi quadri vengono battuti nelle aste di tutto il mondo a prezzi da capogiro. Un omaggio alla pittrice caravaggesca è stato recentemente riproposto a teatro da Sandra Collodel con il testo firmato da me: “Artemisia: ritratto di pittora”.

A Elisabetta Sirani, bolognese, ho invece dedicato un libro, “Il pennello lacrimato” (1990), titolo ripreso dall’orazione funebre dedicata alla pittrice morta giovanissima. Si sospettò di avvelenamento, ma in realtà fu, forse, un’ulcera perforante. Il padre pittore, la esibiva ed ella era costretta a dipingere di fronte a un pubblico di potenziali acquirenti ma soprattutto di curiosi i quali non credevano che potesse essere lei, una donna, l’autrice dei quadri. Artemisia Gentileschi, invece, si dipinse “in veste di Pittura” orgogliosa e fiera del proprio valore.

La tua attenzione per le artiste del passato, però, non si è limitata alle pittrici?

No, mi sono interessata anche delle poetesse, prima fra le altre Marina Cvetaeva vittima della Rivoluzione russa. Nel 1991, quando era praticamente sconosciuta al pubblico italiano, le ho dedicato l’atto unico “Marina e l’altro” vincitore del Premio Asti Teatro e interpretato da Pamela Villoresi e Bruno Armando.

Ultimamente al centro della scena, al fiorentino Teatro Niccolini, c’è la poetessa inglese Emily Dickinson, “un grande amore”, interpretata da Daniela Poggi per la regia di Emanuele Gamba. Oggetto di attenzione anche una musicista: Clara Wieck, moglie di Robert Schumann. Presentata al Festival di Ravello (2009) nell’interpretazione di Giuliana Lojodice, è ora riproposta in Croazia da Ksenia Prohaska.