Proprio mentre recuperavo alcune mie riflessioni su bell hooks, mi è giunta la notizia della sua morte. Ma l’occasione per riprendere in mano quegli appunti mi era stata data dalla pubblicazione recente del testo “Il femminismo è per tutt*” a cura di Maria Nadotti. bell hooks è stata infatti una guida importante nel mio percorso femminista e di studi di genere, cominciato con la lettura del suo “Elogio del margine”, in cui per la prima volta vedevo affrontata senza mezze misure la questione del posizionamento del soggetto a partire non solo dal sesso, ma anche dalle sue condizioni di classe e di razza.

Gloria Jean Watkins alias bell hooks (Bell è il nome della madre, Hooks è il cognome della bisnonna materna; l’uso del carattere minuscolo nelle iniziali dello pseudonimo rimarcano la volontà dell’autrice di rinunciare alla strutturazione di un soggetto identitario) nasce nel 1952 a Hopkinsville, nello stato rurale e razzista del Kentucky. Conosce presto il dolore della segregazione e della povertà ma impara anche, da subito, a difendersi dalla sofferenza con la creatività e la poesia. Da bambina è considerata speciale per via della sua passione per la lettura e la scrittura. Riesce così, per quell’essere “particolarmente dotata”, a varcare i confini di sesso e razza iscrivendosi all’Università. Qui entra in contatto con i movimenti intellettuali e politici che a quell’epoca “stanno cambiando il mondo”, ne trae stimoli, non si sottrae al confronto, li critica. Al femminismo statunitense di quegli anni rimprovera di non aver considerato che per una donna nera il primo problema è il colore della pelle, mentre i movimenti per la liberazione e l’affermazione della razza negra le appaiono ancora legati a logiche di potere di tipo patriarcale e sessista. bell hooks sostiene invece che il genere o la razza non determinano, isolati, la nostra realtà e che non si può partire da un unico punto di osservazione per creare nuove pratiche di resistenza e ribellione. Bisogna posizionarsi in spazi aperti alle contaminazioni, rompere i limiti che imprigionano, essenzializzandoli e staccandoli dalla vita reale, i concetti di sesso, razza, classe. bell hooks attraversa i confini delle ideologie e si pone lei stessa ai margini della produzione intellettuale americana, dalla quale viene rimproverata di eccessiva produttività: a vent’anni ha già scritto il primo libro.

Dai margini dove cade la distinzione tra cultura alta e popolare, e nei quali il posizionamento è mutabile, bell hooks osserva e descrive la povertà, l’amore, un film, la filosofia postmoderna. Non sono margini di isolamento, ma di partecipazione emotiva e intellettuale che la sottrae a dinamiche gerarchiche ed esclusive, impegnandola in un faticoso processo di resistenza e ri-elaborazione. Ne viene fuori una scrittura lucida, accurata, espressiva; un pensiero liberamente logico e sensato. Il lavoro di bell hooks muove da esperienze reali e si rivolge a persone reali. Lo spazio della loro vita, le cose che fanno, le loro aspirazioni, anche tutto questo è ai margini del lavoro di gran parte degli intellettuali. Partire da lì, da spazi marginali, significa correggere e affinare le proprie vedute, arricchirle e tenerle sul filo di una tensione critica. Ed essere consapevoli che non esistono identità essenziali ma che la negritudine, come il femminile, sono esperienze, condizioni di vita, storie.

Concetti come “Alterità” e “Differenza”, secondo bell hooks, perdono la loro caratteristica mobilità se iscritti in un linguaggio e in una teoria distanti dall’esperienza concreta dell’essere altro o diverso, e non possono piegarsi alle logiche di legittimazione ed erudizione richieste dai circuiti delle accademie. Ciò li priverebbe infatti della loro forza critica e sovversiva. Né femminismo e movimenti di lotta anti-razziali possono prescindere l’uno dall’altro. Eppure, osserva bell hooks, sono rari i casi in cui un teorico postmodernista apra un confronto con un intellettuale nero, e spesso la teoria militante nera esclude dai propri discorsi una critica al patriarcato come diversa espressione della stessa supremazia razzista. Per bell hooks invece patriarcato, razzismo e capitalismo, come forme di sfruttamento e di abuso, sono concatenazioni di una stessa volontà di egemonia, di un unico modo di predominare nel mondo. Questo vivere e questo rapportarsi gli uni agli altri nella forma di una superiorità imposta e accettata acriticamente sono già politica, sono il fondamento dei rapporti sociali.

Il primo terreno di sperimentazione politica è, per la scrittrice, la famiglia. Qui facciamo esperienza delle prime violenze, dei primi soprusi, o del primo gesto d’amore. Quindi in ogni altra relazione si continua ad effettuare una politica di potere o una politica di riconoscimento e reciprocità. Prima educatrice al rispetto per la vita e all’amore per la bellezza è stata, nell’infanzia di bell hooks, la nonna materna, che non sapeva né leggere né scrivere. Le insegna che vedere e abitare i luoghi in armonia crea spazi di libertà e pacificazione, e che esprimere la propria creatività (per i neri segregati le uniche arti concesse erano la musica, il teatro e la danza) significa mettere in atto una politica del piacere e della liberazione. È attraverso l’espressione artistica che molti afroamericani hanno potuto affrontare la disperazione dell’essere schiavi e riscattarsene, ed è attraverso la parola e la scrittura che bell hooks lotta e si esprime.

l complesso, tradizionale rapporto tra teoria e prassi salta qui fuori con urgenza. Piano politico ed esperienza personale si intrecciano indissolubilmente e senza sosta, poiché lo spazio della teorizzazione è lo stesso del qui e ora nel quale siamo situati. Se agisco con violenza in una relazione privata, se distruggo e tratto con incuria gli oggetti che mi circondano, il mio agire significa sopraffazione, angoscia, disprezzo. Il posizionamento politico esprime la storia e le molteplici esperienze presenti in ciascuno di noi. Si può parlare da dove non siamo, di ciò che non facciamo, per conto di chi non conosciamo?

L’impegno di bell hooks è riuscire a creare le condizioni culturali e sociali che sostengano un movimento in grado di incidere sulla trasformazione della società, in cui continuano a prevalere sessismo, razzismo, consumismo, dominio di classe. Per fare ciò non può che fare riferimento alla sua storia, al suo vissuto, al suo agire e ritornare indietro, ai tempi dell’adolescenza e alla pena provata per un insulto razzista, alla lotta faticosa per guadagnarsi l’autonomia; e, più indietro ancora, a un’infanzia ricca d’amore improvvisamente scomparso e per sempre rimpianto. Almeno fino a quando non riconosce nel suo bisogno d’amore quell’amore di cui aveva sentito la presenza da bambina: dove e quando è finito quell’amore? Quotidianamente assiste ad inganni, prepotenze, avidità, paure. All’interno dei rapporti familiari fino alle più astratte relazioni pubbliche e politiche, vige una pratica dalla quale l’amore è escluso o mistificato. Come quando si dice – è opinione comune – che l’amore tra due persone è una fatalità, un evento improvviso che travolge e finalmente rende felici, un “colpo di fulmine”. Secondo bell hooks questa è un’idea egocentrica dell’amore, irreale e strumentalizzata. L’amore è una fatica, un’opera, un’arte che si apprende e richiede tempo, volontà, dedizione, disciplina e solo conoscendo l’amore se ne attualizza la pratica.

Tutto è sull’amore, sulla sua presenza o sulla sua assenza. Lo nominiamo di continuo, ma siamo per lo più incapaci di definirlo. Amare significa vivere nel quotidiano tutte le dimensioni dell’amore: cura, impegno, fiducia, responsabilità, rispetto, conoscenza. È fuorviante, secondo bell hooks, nominare questi aspetti astraendoli da una loro applicazione concreta nella propria singolare esistenza. In una famiglia dove ci si comporta secondo le regole del patriarcato, non può svilupparsi amore. L’amore non c’è dove un individuo domina sull’altro per “diritto naturale”. Un’istituzione culturale che alimenta sistemi competitivi di valutazione del lavoro, cancella il piacere del confronto e della discussione. È quanto è successo al femminismo, un movimento che ha visto le donne uscire di casa e cercare altre donne con cui condividere esperienze e pensieri, con cui parlare e discutere per ore e che poi, pur di confluire in luoghi pubblici e nell’accademia, è diventato una élite intellettuale in cui ci si muove tra ruoli, gerarchie, discipline. Secondo l’autrice afroamericana il femminismo, come altri movimenti, si è ridotto ad essere una prospettiva apolitica tra le tante, un modo originale  e “privato” di leggere i testi, e ha perduto così la tensione al cambiamento sociale, al coinvolgimento personale, alla condivisione di un ideale. Lo scambio, il dialogo, sono alla base di ogni atto politico, mentre dove manca la reciprocità si ricreano scene di gerarchia e di dominio. La forza radicale e rivoluzionaria del femminismo può essere recuperata, secondo bell hooks, attraverso un’etica di amore, per cui diventa irrinunciabile un impegno alla condivisione, all’onestà, alla giustizia. Sono valori che seguiamo nelle azioni di ogni giorno? Sono presenti nelle produzioni culturali e di svago cui facciamo riferimento? E queste ultime, sono accessibili a uomini e donne di qualsiasi estrazione sociale, differenti per genere e generazione?

Nella visione di hooks l’amore deve diventare un fenomeno sociale, oltrepassare i limiti della coppia di individui, della famiglia nucleare composta da genitori e figli, del gruppo sociale o culturale. Adottare un’etica di amore vuol dire vivere la propria esistenza responsabilizzandosi in ogni atto, in ogni parola, in ogni pensiero e rivolgerli all’esterno tenendo presente la sostanziale interdipendenza delle nostre vite. Tutti tendiamo alla ricerca del benessere spirituale e materiale, ma se crediamo che amare sia obbedire o possedere misconosciamo l’amore e ci allontaniamo dalle potenzialità che può offrirci. Conoscere l’amore nei suoi attributi di cura, impegno, fiducia, responsabilità, rispetto, significa tenere presenti le persone e l’ambiente che ci circondano, poiché sono attributi che si riferiscono allo scambio e alla reciprocità. Inutile teorizzare di libertà utopiche, di liberazioni irrealizzabili, sottolinea bell hooks, se non si parte da una seria analisi del bisogno di amore e della capacità di amare, poiché dalla mancanza di amore nascono la paura, l’avidità, l’inganno, mentre l’amore è una forza trasformatrice, che richiede e produce apertura e mutabilità. Se l’economia mondiale si basa su logiche di sopraffazione, è una questione di carenza di amore. Costruire una comunità di persone diverse tra loro ma rispettose ognuna dell’altra, è un segno di presenza di amore. La base di una politica che possa trasformare meccanismi di potere e oppressione attraverso la ricerca di un benessere comune e condiviso ha a che fare con l’amore. La vita del singolo è infelice se manca d’amore.Tutto è sull’amore.